La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15586 depositata il 22 luglio 2020 intervenendo in tema di accertamento induttivo a seguito di indagini finanziarie ha ribadito che “Il dato oggettivo di pagamenti tramite POS e carte di credito in numero superiore agli scontrini emessi è stato inquadrato e valutato come fatto noto determinante per il sorgere della presunzione di maggiori ricavi, che ha fatto nascere in capo alla contribuente l’onere di provare, con idonea documentazione, l’assenza di qualsiasi discordanza e di giustificare con documenti fiscali tutti gli incassi rilevati dall’Ufficio”
La vicenda ha riguardato un contribuente, esercente in forma di impresa familiare attività di commercio al dettaglio di capi d’abbigliamento, a cui veniva notificato un avviso di accertamento del reddito, redatto in forma analitico-induttiva sulla scorta del confronto tra gli scontrini emessi e i pagamenti ricevuti con moneta elettronica nello stesso periodo. Avverso tale atto impositivo il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure si pronunciavano in favore della contribuente, ritenendo da un lato non idoneo il metodo di accertamento utilizzato dall’Agenzia, che era basato unicamente sul raffronto tra scontrini e pagamenti POS o tramite carte di credito; dall’altro che l’evasione sarebbe configurabile solo in relazione ai pagamenti per contanti e non anche in presenza di moneta elettronica in considerazione della sua tracciabilità. Per questo imputava la discrepanza tra scontrini e pagamenti rilevata dall’Ufficio semplicemente ad un differimento nella stampa dello scontrino rispetto al momento del pagamento. L’Agenzia delle Entrate, avverso la decisione della CTP, proponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello riformavano la sentenza impugnata, rimarcando l’obbligo di emissione dello scontrino anche in caso di differimento della consegna delle merci. Il contribuente avverso la sentenza CTR proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
Gli Ermellini nel rigettare il ricorso hanno ritenuto corretto l’evidenzazione della CTR come a fronte di pagamenti tramite POS e carte di credito in numero superiore agli scontrini emessi, la contribuente non abbia saputo produrre gli scontrini mancanti, anche eventualmente emessi in un secondo momento, né abbia giustificato validamente la loro mancanza, specie con riferimento alle richiamate attività sartoriali.
Per i giudici di legittimità in tema di accertamento analitico-induttivo la discordanza tra incassi ricevuti con moneta elettronica e documenti fiscali emessi sposta sul contribuente l’onere di dimostrare l’assenza di irregolarità, da fornire con la prova documentale a riprova degli introiti contestati o dimostrando l’avvenuta registrazione e contabilizzazione dei ricavi connessi ai pagamenti disposti con Pos e carte di credito. In quanto all’Ufficio spetta solo fornire indizi che, ove non contestati dal contribuente, valgono come presunzioni, pertanto è onere del contribuente provare, con idonea documentazione, la regolarità del proprio operato.