In tema di licenziamento, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16986 del 09 luglio 2013 ha statuito la legittimità del provvedimento espulsivo nei confronti del dipendente che istiga i colleghi all’insubordinazione con minacce contro i superiori, a nulla rilevando che lo stesso lavoratore sia intervenuto a difesa di una lavoratrice a suo dire assegnata a mansioni incompatibili con il suo stato di salute.
Nello specifico la Suprema Corte ha chiarito che si configura la giusta causa per insubordinazione e la sanzione espulsiva è proporzionata, in quanto risulta irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Infatti il lavoratore resosi responsabile di aver profferite frasi all’indirizzo di dipendenti gerarchicamente sovraordinati, con istigazione alla insubordinazione nei confronti di altri lavoratori, nonché con tono minaccioso e violenza sui beni aziendali, era riferita a condotta idonea a configurare insubordinazione e tale da costituire giusta causa di licenziamento.
La vicenda ha riguardato un lavoratore che si era reso protagonista di un episodio di insubordinazione e minacce ai propri superiori e nei cui confronti veniva attivata la procedura di contestazione disciplinata conclusasi con il provvedimento di licenziamento per giusta causa. Il lavoratore impugnava il licenziamento avanti al Tribunale in veste di Giudice di lavoro che rigettava il ricorso. Il lavoratore avverso la sentenza del giudice di prime cure ricorreva alla Corte di Appello che rigettava il gravame proposto da M. O., confermando la pronunzia di primo grado, con la quale era stata rigettata la domanda intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato al predetto, addetto al servizio mensa, per fatti avvenuti in data 31.3.2005 e contestati con lettera del 5.4.2005.
Il lavoratore, soccombente anche in appello, ricorre in cassazione con sette motivi.
Gli Ermellini hanno ritenuto il ricorso infondato.
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