La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 18535 del 02 agosto 2013 intervenendo in tema di licenziamento ha affermato che nel caso di sopravvenuta infermità alle mansioni lavorative permanente del dipendente, non si realizza un’impossibilità della prestazione lavorativa quale giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato (artt. 1 e 3 della L. 604/1966 e artt. 1463 e 1464 c.c.) qualora il lavoratore possa essere adibito a mansioni equivalenti o, se impossibile, anche a mansioni inferiori, purché da un lato tale diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore, e dall’altro, l’adeguamento sia sorretto dal consenso, nonché dall’interesse dello stesso lavoratore. Ne consegue che, nel caso in cui il lavoratore abbia manifestato, sia pur senza forme rituali, il suo consenso a svolgere mansioni inferiori, il datore di lavoro è tenuto a giustificare l’eventuale recesso, considerato che egli non è tenuto ad adottare particolari misure tecniche per porsi in condizione di cooperare all’accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermità, che vada oltre il dovere di sicurezza imposto dalla legge. L’onere della prova circa l’impossibilità di assegnare il lavoratore a mansioni diverse spetta al datore di lavoro, ma deve, in ogni caso, tenersi conto dei concreti aspetti della vicenda e delle allegazioni del dipendente attore in giudizio.
Pertanto gli Ermellini nel rigettareo il ricorso di una lavoratrice licenziata, a seguito di una valutazione di inidoneità in base alla visita medica collegiale al cui esito era stata valutata inidonea allo svolgimento delle mansioni di Operatore Tecnico addetto all’assistenza, hanno precisato che “l’onere del repechage del lavoratore inidoneo allo svolgimento delle mansioni alle quali è adibito è principio pacificamente espresso nella sentenza delle sezioni unite 7 agosto 1998, n. 7755, pronunciata a composizione dei contrasti di giurisprudenza esistenti sulla questione, rispetto alla quale è stato affermato che la sopravvenuta infermità permanente e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa possono giustificare oggettivamente il recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro subordinato, ai sensi degli art. 1 e 3 I. 606/1966 – normativa specifica in relazione a quella generale dei contratti sinallagmatici di cui agli art. 1453, 1455, 1463 e 1464 c.c. -se risulta ineseguibile non soltanto l’attività svolta in concreto dal prestatore, ma è esclusa anche la possibilità, alla stregua di un’interpretazione del contratto secondo buona fede, di svolgere altra attività riconducibile alle mansioni assegnate o ad altre equivalenti ai sensi dell’art. 2103 e, persino, in difetto di altre soluzioni, a mansioni inferiori, purché l’attività compatibile con l’idoneità del lavoratore sia utilizzabile nell’impresa, senza mutamenti dell’assetto organizzativo insindacabilmente scelto dall’imprenditore.” In particolare – proseguono i giudici di legittimità – nel bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti (artt. 4, 32, 36 Cost.), non può, tuttavia, pretendersi che il datore di lavoro, per ricollocare il dipendente non più fisicamente idoneo, proceda a modifiche delle scelte organizzative escludendo, da talune posizioni lavorative, le attività incompatibili con le condizioni di salute del lavoratore. Vero è che, nell’ipotesi di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, il giustificato motivo oggettivo consiste non soltanto nella fisica inidoneità del lavoratore all’attività attuale, ma anche nell’inesistenza in azienda di altre attività (anche diverse, ed eventualmente inferiori) compatibili con lo stato di salute del lavoratore ed a quest’ultimo attribuibili senza alterare l’organizzazione produttiva, onde spetta al datore di lavoro convenuto in giudizio dal lavoratore in sede in impugnativa del licenziamento fornire la prova delle attività svolte in azienda, e della relativa inidoneità fisica del lavoratore o dell’impossibilità di adibirlo ad esse per ragioni di organizzazione tecnico-produttiva. Tuttavia, ove il lavoratore non abbia contestato nella prima occasione processuale utile alcune delle suddette circostanze allegate dal datore di lavoro nell’atto di costituzione e non abbia manifestato la disponibilità ad essere adibito anche a mansioni eventualmente inferiori, non può poi lamentare che il datore di lavoro non abbia completamente assolto all’onere probatorio su di lui incombente. In conclusione – si legge nella sentenza – il datore dì lavoro è tenuto a giustificare oggettivamente il recesso anche con l’impossibilità dì assegnare mansioni non equivalenti nel solo caso in cui il lavoratore abbia, sia pure senza forme rituali, manifestato la sua disponibilità ad accettarle. “Ciò che correttamente è stato escluso nella fattispecie, alla stregua delle allegazioni della lavoratrice, da cui risultava che la stessa riteneva il licenziamento illegittimo perché, quand’anche fosse stata provata la propria incapacità lavorativa parziale, sussisteva per l’azienda l’obbligo dì adibirla a mansioni equivalenti a quelle svolte nell’ultimo periodo di lavoro antecedente il licenziamento. Ed invero, la lavoratrice ha mostrato di non accettare la possibilità di essere addetta a mansioni di portantino insistendo nella adibizione a mansioni di OTA ,in relazione alle quali ha sostenuto la compatibilità con le condizioni fisiche dell’attività di trasporto svolta normalmente con l’intervento anche di personale infermieristico. (…) La conclusione alla quale, sulla base di tale accertamento dì fatto nella specie insindacabile, è giunto il giudice del gravame, che, cioè, la lavoratrice non poteva pretendere di permanere nelle stesse mansioni venendo esentata da uno dei compiti previsti, è, pertanto, del tutto conforme alle premesse giuridiche precisate.”
La lavoratrice ricorreva alla Corte territoriale i cui giudici respingevano la sua domanda, rilevando che la donna non ha manifestato la volontà di essere adibita a mansioni inferiori (con stipendio inferiore rispetto a quello percepito) pur di mantenere il posto di lavoro, mentre, risulta provato che presso la clinica non esistevano possibilità di adibire la lavoratrice a mansioni equivalenti. Nel caso di sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni lavorative, infatti, il patto di dequalificazione, quale unico mezzo per conservare il rapporto di lavoro, costituisce un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto, solo se sorretto dal consenso e dall’interesse del lavoratore. La donna ricorre in Cassazione avverso tale sentenza ma i giudici di legittimità confermarono la decisone della Corte di Appello.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, sezione n. 2, sentenza n. 2577 depositata il 2 maggio 2023 - Nella libera determinazione convenzionale del canone di locazione per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi…
- Corte di Cassazione sentenza n. 22375 depositata il 25 luglio 2023 - Con la clausola di roulette russa, invece, quantomeno in astratto, non si opera alcuna alterazione della causa societatis. Anzi, i soci la stipulano al fine di pervenire ad una…
- Consiglio di Stato, Sezione Quinta, sentenza n. 2806 depositata il 20 marzo 2023 - In tema di clausola sociale la stazione appaltante non può imporre un riassorbimento integrale del personale in quanto verrebbe limitata la libera iniziativa economica…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 ottobre 2022, n. 31856 - In materia di cassa integrazione guadagni straordinaria, la mancata iniziativa del lavoratore diretta a sollecitare l'attuazione della clausola di rotazione non preclude il diritto del…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 10 marzo 2020, n. 6771 - Il curatore, che subentra in un contratto stipulato dal fallito contenente una clausola compromissoria, non può disconoscere tale clausola, ancorché configuri un patto autonomo, e, se il…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 20239 depositata il 14 luglio 2023 - Il licenziamento intimato per asserito esito negativo della prova, sull'erroneo presupposto della validità della relativa clausola o in forza di errata supposizione della…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…
- L’indennità sostitutiva della mensa, non avendo na
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7181 depositata…