La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 26828 depositata il 29 novembre 2013 intervenendo in tema di risarcimento per licenziamento illegittimo ha statuito che dal danno dovuto al lavoratore per effetto della reintegrazione disposta dal giudice, dall’ammontare del risarcimento vanno detratti gli importi che il lavoratore abbia percepito per aver svolto, nel periodo successivo alla risoluzione del rapporto, un’attività remunerata (c.d. aliunde perceptum).
La vicenda ha riguardato un dipendente comunale che aveva impugnato il licenziamento intimatogli dal Comune. Il dipendete aveva proceduto alla impugnazione del provvedimento di espulsione inanzi al Tribunale, quale giudice del lavoro, che accoglieva la domanda del lavoratore condannando il Comune a reintegrare il lavoratore ed al risarcimento del danno pari alle retribuzioni dalla data del licenziamento alla data della effettiva reintegrazione nel posto di lavoro. Il datore di lavoro impugnava la sentenza inanzi alla Corte di Appello che confermava la sentenza impugnata. Il Comune proponeva ricorso alla Corte di Cassazione. I giudici del Palazzaccio accoglievano con rinvio alla Corte Territoriale il ricorso del Comune per quanto concerne gli importi per risarcimento del danno e per indennità supplementare sostitutiva del diritto alla riassunzione conseguita alla scelta in tal senso manifestata dall’appellante. Pertanto in sede di rinvio i giudici di appello il suddetto importo rimaneva assorbito da quanto dal medesimo percepito a diverso titolo nelle more del giudizio, per cui lo stesso non gli era più dovuto dall’ente territoriale convenuto che, di conseguenza, veniva condannato esclusivamente alla rifusione delle spese dei vari gradi di giudizio.
L’ex dipendente comunale per la cassazione della sentenza di appello propone ricorso, basato su tre motivi di doglianza, alla Corte Suprema. Il datore di lavoro presente controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi di censura.
Gli Ermellini rigettano il ricorso principale ed accolgono il ricorso incidentale con rinvio ad altra Corte di Appello. I giudici di legittimità hanno ritenuto infondato i motivi del lavoratore, in particolare, ricordando il principio secondo cui è possibile tener conto del cosiddetto “aliunde perceptum”, come fatto sopravvenuto dedotto nel primo atto utile, anche nel giudizio di rinvio allorquando, come nella fattispecie, solo in occasione del suo svolgimento sia stato possibile rilevare una tale circostanza di fatto. Inoltre per la Cassazione il cosiddetto “aliunde perceptum” non integra una eccezione in senso stretto e, pertanto, è rilevabile dal giudice anche in assenza di un’eccezione di parte in tal senso, ovvero in presenza di un’eccezione intempestiva, semprechè la rioccupazione del lavoratore costituisca allegazione in fatto ritualmente acquisita al processo, anche se per iniziativa del lavoratore e non del datore di lavoro (v. in tal senso anche Cass. Sez. lav. n. 9464 del 21/4/2009), fermo restando che i fatti sopravvenuti devono essere dedotti, sotto pena di decadenza, nel primo atto successivo utile (v. Cass. Sez. lav. n. 5893 del 14/6/1999).
Per quanto concerne il ricorso incidentale, i giudici supremi, nell’accogliere la doglianza circa il risarcimento del danno. Stabilendo che il lavoratore è tenuto a restituire al Comune la sola indennità supplementare già erogatagli da tale ente territoriale; da tale importo va, però, detratto quello corrispondente ai contributi che a norma di legge gli competono sulle retribuzioni “medio tempore” maturate, come da statuizione contenuta nella summenzionata sentenza del giudizio rescindente, non essendovi traccia del loro computo nella sentenza emessa a conclusione del giudizio di rinvio dalla Corte d’appello.
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