La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 17367 del 16 luglio 2013 intervenendo in tema di licenziamento afferma che in caso di licenziamento per giusta causa, al fine di valutare la corretta proporzionalità fra il fatto addebitato ed il recesso, viene in considerazione – come nel caso di specie del contabile che manipola i conti – non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento da parte del lavoratore, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti verso il proprio datore di lavoro.
La vicenda ha riguardato un dipendente con qualifica di quadro che aveva commesso delle irregolarità contabili consistenti, in particolare, in doppie o anticipate fatturazioni e la circostanza per cui dirigenti di grado più elevato fossero coinvolti nelle medesime irregolarità, non lo esentava dalle proprie responsabilità.
Il lavoratore avverso il provvedimento di licenziamento per giusta causa lo impugna inanzi al Tribunale in veste di giudice del lavoro che accoglieva il ricorso.
La società datrice di lavoro proponeva ricorso avverso la sentenza del giudice di prime cure inanzi alla Corte di Appello i cui giudici in riforma della sentenza di primo grado hanno ritenuto sussistente la giusta causa del licenziamento irrogato. La Corte Territoriale ha ritenuto che i comprovati addebiti al lavoratore in ordine alle irregolarità contabili costituiscono giusta causa di licenziamento, e la qualifica di quadro rivestita dal dipendente gli assicurava stabilità del rapporto, mentre la circostanza per cui dirigenti di grado più elevato fossero coinvolti nelle medesime irregolarità, non lo esimeva da responsabilità. D’altra parte la nozione di giusta causa va valutata anche in funzione della qualifica del dipendente, nel senso che per un dirigente, per cui rileva maggiormente il rapporto fiduciario, la sussistenza della giusta causa va ravvisata con maggior rigore, e la gravità dei fatti contestati e provati a carico del V. sono tali da non consentire assolutamente il rapporto di lavoro fra le parti.
Il lavoratore proponeva ricorso alla Suprema Corte avverso la sentenze della Corte di Appello per la sua cassazione articolandolo su cinque motivi.
Gli Ermellini, dopo aver ritenuto i primi due infondati ed il terzo e quarto inammissibili, hanno ritenuto per il quinto motivo che la “proporzione della sanzione rispetto agli addebiti, la Corte di merito ha considerato esattamente le specifiche mansioni del dipendente addetto alla contabilità e la qualifica di quadro,che gli avrebbe imposto una responsabilità ancora superiore a quella di altri dipendenti in relazione ad irregolarità relative proprio al settore contabile di sua specifica competenza.”
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