La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 902 depositata il 17 gennaio 2014 intervenendo in tema di licenziamento ha affermato che che “in materia di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva – nella quale rientra il licenziamento conseguente alla soppressione del posto di lavoro – il datore di lavoro ha l’onere di provare, con riferimento alla capacità professionale del lavoratore ed alla organizzazione aziendale esistente all’epoca del licenziamento, anche mediante elementi presuntivi o indiziari ovvero attraverso fatti positivi, l’impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva o in posti di lavoro confacenti alle mansioni dallo stesso svolte, giustificandosi il recesso solo come extrema ratio”.
La vicenda ha riguardato un dipendente responsabile della qualità e del coordinamento delle risorse operative, venne dapprima demansionato, con la sottrazione di tali compiti, e successivamente licenziato per soppressione del posto di lavoro. Il lavoratore impugnò il provvedimento di espulsione inanzi al Tribunale, nella veste di giudice del lavoro, il quale accogliendo la domanda del ricorrente dichiarò illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato dalla società datrice di lavoro, condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro nonché al pagamento delle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
La società impugnò la decisione del giudice di prime cure inanzi alla Corte di Appello con ricorso principale ed il lavoratore con ricorso incidentale. I giudici territoriali confermarono la sentenza impugnata affermando che non avendo il datore di lavoro fornito la prova che il posto era stato soppresso e della contrazione dell’attività commerciale, posto che le mansioni affidate al dipendente erano state attribuite ad altra persona e che la società aveva continuato ad assumere, anche se con contratti atipici, altro personale.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure la società proponeva ricorso, basato su tre motivi di censura, alla Corte Suprema. Il dipendente resisteva con controricorso.
Gli Ermellini rigettano il ricorso della società. I giudici di legittimità hanno ritenuto la motivazione della Corte Territoriale logica, coerente ed appare rispettosa dei principi di diritto richiamati.
I giudici del Palazzaccio in merito alle assunzioni di nuovo personale successivamente al licenziamento hanno puntualizzato che “è necessario che il datore di lavoro, sul quale grava il relativo onere probatorio, indichi (e dimostri) le assunzioni effettuate, il relativo periodo, le qualifiche e le mansioni affidate ai nuovi assunti e le ragioni per cui tali mansioni non siano da ritenersi equivalenti a quelle svolte dal lavoratore licenziato, tenuto conto della professionalità raggiunta dal lavoratore medesimo.”
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