La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 25197 depositata il 8 novembre 2013 intervenendo in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ha affermato l’illegittimità del recesso operato dall’azienda, qualora esiste anche una sola possibilità di repechage del lavoratore interessato e l’impresa non prova di aver adempiuto all’obbligo del tentativo di riposizionare il dipendente.
In particolare la Suprema Corte ha precisato che il licenziamento risulta illegittimo se esiste una possibilità di repechage anche “a livello solo indiziario”.
La vicenda ha riguardato un dipendente a cui veniva comunicato il suo licenziamento per l’esternalizzazione del servizio di pulizia interno che lo vedeva impiegato, ma questi non svolgeva solamente quest’attività, ed essendo un dipendente che si adattava a fare “un po’ di tutto”.
Il dipendente impugnava il provvedimento di licenziamento inanzi al Tribunale, in qualità di giudice del lavoro, chiedendo la reintegrazione e il risarcimento del danno. Il Tribunale rigettava la domanda del dipendente confermando che il giustificato motivo oggettivo andava ricercato nella insindacabile decisione imprenditoriale di sopprimere le mansioni assegnate al lavoratore e nella esternalizzazione del servizio.
Il lavoratore impugnava la decisione del giudice di prime cure davanti alla Corte di Appello che in riforma della sentenza di primo grado accoglieva l’impugnazione e dichiarava illegittimo il licenziamento, concedendo inoltre il risarcimento del danno. In particolare la Corte evidenziava che il lavoratore aveva provato che, oltre le mansioni di addetto alle pulizie, egli svolgeva altri compiti rispondenti all’inquadramento ricevuto, mentre il datore non aveva provato di non poter utilizzare il predetto in altre mansioni compatibili con il suo livello professionale.
La società datrice di lavoro proponeva ricorso, basandolo su due motivi di doglianza, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini rigettano il ricorso della società. Infatti la Corte Suprema ha ritenuto che l’azienda, quand’anche sia in crisi non può licenziare il lavoratore se c’è la possibilità del cosiddetto repechage, ossia di destinare il dipendente ad altre funzioni all’interno dello stesso circolo produttivo. Si deve però trattare di mansioni equivalenti o, in mancanza, anche di mansioni inferiori, purché non calpestino la dignità del lavoratore.
Per cui l’obbligo di “repechage” è imposto, dall’ordinamento giuridici, proprio per evitare che dietro una riorganizzazione dell’azienda si possa nascondere un pretesto per silurare il dipendente, aggirando la normativa sui licenziamenti. Pertanto il licenziamento per crisi è valido solo se il lavoratore non può essere impiegato in altro modo o settore, tenuto anche conto della possibilità anche di un demansionamento.
È quindi illegittimo il provvedimento espulsivo del dipendente, motivato con l’intervenuta esternalizzazione della mansione (ossia l’affidamento a soggetti esterni all’azienda), se il dipendente svolgeva anche altre mansioni (era un “factotum”), che esulavano dal servizio soppresso e risultano comunque compatibili con il suo inquadramento.
È il datore di lavoro che, in caso di contestazione del licenziamento da parte del dipendente, deve dimostrare l’impossibilità di riutilizzare quest’ultimo in qualche altro modo.
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