La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18790 depositata il 28 luglio 2017 intervenendo in tema di accertamento dell’IVA e reddito di impresa ha statuito che “l’imposta sul valore aggiunto si applica non sul reddito d’impresa – non essendo configurabile un “reddito da assoggettarsi ad IVA” -, ma “sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate” (art. 1), essendo costituita la base imponibile delle cessioni dei beni e delle prestazioni di servizi “dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti dal cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali” (art. 13, primo coma).”
La vicenda ha riguardato un contribuente che aveva omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e della presentazione della sola dichiarazione IVA ed a cui l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento per la rideterminazione del reddito d’impresa non dichiarato in euro 21.316, con conseguente rettifica delle relative imposte IRPEF, addizionale regionale, IRAP e IVA, pari al 30% delle operazioni attive esposte in euro 71.053, equivalenti ai ricavi conseguiti
Il contribuente avverso tale atto impositivo proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accoglievano parzialmente le doglianze del ricorrente. L’Amministrazione finanziaria avverso la decisione del giudice di prime cure proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale, i quali precisavano che “sulla base dell’importo totale delle operazioni attive indicato dal contribuente, tenuto conto dell’incidenza dei costi, il reddito era stato determinato, secondo la percentuale di redditività, in euro 21.316, somma corrispondente al reddito imponibile ai fini IRPEF e al valore netto della produzione ai fini IRAP”. Per, ad avviso della CTR, era legittimo, come chiesto dal contribuente, stabilire che “il reddito determinato nell’accertamento nella misura del 30% del volume d’affari corrisponda alla base imponibile da assoggettare ad IVA” poiché “il reddito da assoggettarsi ad IVA non poteva essere logicamente diverso da quello stabilito come reddito d’impresa”.
Avverso la decisione della CTR l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini accolgono la doglianza dell’Amministrazione finanziaria statuendo che in base al DPR n. 633/1972 l’IVA si applica non sul reddito di impresa, come erroneamente ritenuto dalla CTR, ma sull’ammontare delle cessioni di beni e servizi.
Erroneo quindi “considerare elemento fondamentale per la determinazione dell’IVA il reddito d’impresa prodotto, facendo poi dipendere da questo l’imposta” e ritenere che “il reddito da assoggettare ad IVA sia lo stesso stabilito quale reddito d’impresa”. Ciò perché “la determinazione dell’IVA non è invero legata al reddito prodotto, ma al numero delle cessioni e degli acquisti effettuati. Proprio per questo il provvedimento per la ricostruzione dei ricavi ai fini IVA si è basato sul totale delle operazioni attive così come il contribuente ha determinato nelle dichiarazioni periodiche IVA”.
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