
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 221216 del 8 maggio 2017 intervenendo in tema di reati tributari ha statuito che il reato di distruzione o occultamento di documenti contabili, previsto dall’art. 10 D.Lgs. n. 74/00, non è configurabile dalla mancanza di un numero limitato di fatture e di piccoli importi è una circostanza su quale può fare leva il contribuente per farsi assolvere dal giudice. Il reato, infatti, non si configura, se le fatture ritrovate dalle Fiamme Gialle consentono ugualmente di ricostruire il reddito.
Gli Ermellini accolgono il ricorso proposto da un contribuente che era imputato per il reato di distruzione o occultamento di documenti contabili. I giudici di legittimità puntualizzano che il reato previsto dall’articolo 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000, viene commesso da parte di “chiunque,al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.”
Per i giudici del palazzaccio hanno ritenuto applicabile il principio di diritto secondo cui il reato di distruzione od occultamento di documenti contabili non è configurabile quando il risultato economico delle operazioni prive della documentazione obbligatoria può essere ugualmente accertato sulla base di altra documentazione conservata dall’imprenditore interessato, in quanto in tal caso manca la necessaria offensività della condotta.
Nel caso esaminato dalla Corte la Guardia di Finanza ha rinvenuto presso la ricorrente le fatture dalla n. 1 alla n. 37, nonché la fattura n. 47 datata 30 dicembre 2009. Sono dunque mancate all’appello solamente 9 fatture, ciascuna dell’importo di 281 euro.
Scrivono gli Ermellini che il reato in oggetto è a dolo specifico (“al fine di evadere le imposte”), e quindi la motivazione del verdetto di responsabilità dovrebbe dare adeguatamente conto dell’accertamento in concreto dell’elemento soggettivo del reato. Perciò, nel caso in esame, la particolare situazione della presenza delle fatture dalla n. 1 alla 37 e poi la n. 47, e il limitato volume di affari (circa euro 280,00 a fattura) imponevano, al giudice di merito, “un accertamento e una motivazione consona sul dolo specifico di evasione.”
Per cui alla luce di quanto scritto la Corte rinvia la controversia ai giudici palermitani, affinché accertino e forniscano “adeguata motivazione anche dell’offensività della condotta, in relazione alla vista situazione particolare, presenza di alcune fatture e assenza di poche fatture, peraltro per pochi €; con agevole ricostruzione del reddito con la documentazione esistente”.
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