La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 26446 depositata il 10 ottobre 2024, intervenendo in tema di licenziamento disciplinare, ha riaffermato il principio secondo cui “In tema di licenziamento disciplinare, la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma ricomprende qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale (Cass. n. 7795/2017; Cass. n. 13411/2020).”
La vicenda ha riguardato una lavoratrice a cui la datrice di lavoro intimava licenziamento disciplinare alla dipendente D.O.P. per avere pubblicato, sul suo profilo Facebook, “frasi altamente denigratorie, offensive e diffamatorie nei confronti della società e, in particolare, verso la persona del suo amministratore delegato. Il dipendente impugnava il provvedimento di espulsione. Il Tribunale adito, nella veste di giudice del lavoro, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, rigettava le domande della lavoratrice. La dipendente proponeva appello. La Corte territoriale dopo avere svolto attività istruttoria, annullava il licenziamento e condannava la società a reintegrare la dipendete nel posto di lavoro, in quanto i fatti oggetto dell’addebito erano inquadrabili nelle vicende legate alla salubrità degli ambienti. La società datrice di lavoro impugnava la sentenza di appello con ricorso per cassazione fondato su cinque motivi.
I giudici di legittimità rigettavano il ricorso.
Gli Ermellini premetto che ” anche l’applicabilità della causa di non punibilità della provocazione, di cui all’art. 599 cp, la cui natura giuridica in sede di legittimità è stata individuata quale scusante e non come scriminante (Cass. pen. V n. 26477/2021), sia corretta.
(…) Si è, infatti, in presenza di un fatto ingiusto (fuga di sostanze tossiche avvenuta in ambiente lavorativo, quale evento che non può trovare giustificazione in disposizioni normative o nelle regole del vivere della civile convivenza– Cass. pen. V n. 4943/2021), ritenuto a livello putativo di responsabilità della datrice di lavoro (sulla possibilità della putatività cfr. Cass. pen. V n. 37950/2017), con una reazione istantanea (da intendersi in senso relativo, Cass. pen. V n. 8097/2007, e opinata sussistente in quanto i fatti sono avvenuti nell’aprile del 2019 in un contesto di reale contiguità temporale), da parte di un soggetto (la P.) che era comunque coinvolto in quanto era rimasto infortunato nell’evento il marito e, quindi, in presenza di uno stato di ira. “
Per i giudici di piazza Cavour “la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., applicabile “ratione temporis”, nel senso che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), mentre nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia (Cass. n. 25761/2014)”
Inoltre per il Supremo consesso “in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5, della l. n. 300 del 1970, come novellato dalla l. n. 92 del 2012, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l’illecito con sanzione conservativa, né detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.” (Cass. n. 11165/2022; Cass. n. 20780/2022)