La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20499 depositata il 29 agosto 2017 interviene in tema di indennità di preavviso nella ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro subordinato riaffermando che il collocamento a riposo per il raggiungimento del limite dell’età pensionabile non configurandosi alla stregua del licenziamento non è dovuta l’indennità di preavviso.
La vicenda ha riguardato un dipendente di una società operante nel settore dei trasporti su rotaie. Il datore di lavoro aveva comunicato con raccomandata, al dipendente, prima del giorno di cessazione del rapporto di lavoro per aver raggiunto l’età pensionabile la decisione che il rapporto sarebbe cessato. Il dipendente si rivolgeva al Tribunale, in veste di giudice del lavoro, per determinare quanto spettante per indennità di mancato preavviso. Il Tribunale adito accoglie parzialmente la domanda del ricorrente riconoscendo il diritto all’indennità di mancato preavviso. Avverso la sentenza di primo grado la datrice di lavoro propone ricorso alla Corte di Appello. I giudici distrettuali confermano la decisione impugnata.
La società datore di lavoro propone, avverso la decisione di giudici di appello, ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.
Gli Ermellini accolgono il ricorso della società precisando che la comunicazione anticipata spedita al dipendente, dal datore di lavoro, della notizia che il rapporto di lavoro cessa per limiti di età, non può essere considerata come un licenziamento per cui non sorge il diritto all’indennità sostitutiva di preavviso.
Il datore di lavoro o il dipendente intende recedere dal rapporto deve rispettare un periodo di preavviso come affermato dall’articolo 2118 cod. civile, rappresentato dal periodo di tempo che intercorre tra la comunicazione del recesso e il momento in cui lo stesso acquista effetto.
La Corte Suprema con la sentenza n. 1743 del 2017 ha chiarito che la finalità dell’indennità di preavviso è quella di impedire che il lavoratore si trovi improvvisamente e contro la sua volontà di fronte a un immotivato recesso dell’azienda e, per conseguenza, versi in una imprevista situazione di disagio economico; e, dall’alto, quella di consentire che il lavoratore stesso disponga di un tempo adeguato per fronteggiare la cessazione del rapporto di lavoro e di organizzare la propria esistenza nell’imminenza di essa, anche mediante ricerca di un nuovo posto di lavoro.
I giudici di legittimità hanno, a più riprese, puntualizzato che la comunicazione del datore di lavoro e previsto dal contratto collettivo di categoria non costituisce una ipotesi di vero e proprio “recesso” del datore di lavoro, ossia di licenziamento. Essa costituisce per il datore di lavoro l’esercizio di un diritto di di avvalersi di un meccanismo risolutivo previsto dal Ccnl (vedasi Cass. sent. n. 27425/2014; n. 4187/2013; n. 22427/2004; n. 137/2003)
Per cui secondo il predetto orientamento non compete al dipendente l’indennità sostitutiva del preavviso che, invece, spetta in tutti i casi di licenziamento.
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