La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 3639 depositata il 27 gennaio 2014 intervenendo in tema di reati fiscali ha statuito che viene consumato il reato di omesso versamento Iva il nuovo amministratore della società subentrato pochi giorni prima della scadenza del termine di versamento in quanto dall’esame della dichiarazione annuale e dei modelli di versamento avrebbe facilmente desunto la violazione. L’imprenditore ha l’obbligo di accantonare l’IVA incassata per far fronte all’obbligazione fiscale anche quando l’azienda è in difficoltà finanziarie. L’imposta incassata deve essere versata all’Erario e non può essere utilizzata per fronteggiare altre esigenze aziendali.
La vicenda ha riguardato l’amministratore di una srl che nominato a pochi giorni dalla scadenza del 27 dicembre 2006 non eseguiva il pagamento dell’IVA consumandosi in tal modo il reato di cui all’articolo 10 – ter D.Lgs. n. 74/2000. L’amministratore veniva condannato dal Tribunale per il reato ascritogli. L’imputato impugnava la decisione del giudice di prime cure dinanzi alla Corte di Appello.
L’assunto difensivo era basato sulla circostanza di aver assunto l’incarico i primi giorni di dicembre ed era stato quindi vittima di un raggiro dei precedenti soci ed amministratori i quali non gli avevano rappresentato la reale situazione debitoria della società. Peraltro, appena accortosi della situazione finanziaria lasciava l’impresa sin dai primi mesi del 2007 anche se formalizzava la cessazione nel mese di giugno.
La Corte di appello rigettava il gravame in quanto avendo rilevato che egli aveva assunto quote societarie ed essendo nuovo amministratore poteva ben esaminare e conoscere l’effettiva situazione della società con riferimento agli omessi versamenti dell’imposta. In particolare la contribuente, dal momento in cui era entrata in vigore la disposizione di cui all’articolo 10 – ter D.Lgs. n. 74/2000 (ossia 4 luglio 2006), “aveva avuto il tempo sufficiente per organizzare le sue risorse”. In ogni caso esisteva un dovere di accontamento.
Per la cassazione della decisione del giudice di seconde cure l’imputato, per il tramite del suo difensore, proponeva ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema. Lamentando, tra l’altro, che l’introduzione della norma penale aveva cronologicamente seguito l’omesso accantonamento di quanto dovuto a titolo di IVA. In altre parole, nel momento in cui aveva realizzato il comportamento (cioè l’omesso accantonamento), l’imputata non poteva prevedere che tale condotta presentasse un disvalore penale.
Gli Ermellini rigettano il ricorso dell’imputato. Per i giudici di legittimità il ricorso è inammissibile ed hanno evidenziato che il debito non era remoto rispetto all’assunzione dell’incarico e, soprattutto, era facilmente individuabile mediante il semplice esame della dichiarazione annuale e dei modelli di versamento.
Per i giudici della Cassazione anche se al momento della scadenza del termine fiscale per il versamento periodico dei debiti IVA relativi all’anno 2005 il reato in discussione non era ancora stato introdotto, puntualizzano che la condotta penalmente rilevante non è l’omissione del versamento periodico nel termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale nel maggiore termine stabilito per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo.
Pertanto alla luce di qunato sopra affermato dai giudici del Palazzaccio il soggetto che aveva omesso i versamenti periodici per il 2005 nel termine previsto dalla legge tributaria (e che vi aveva persistito nel primo semestre 2006) avrebbe avuto ancora, fino al 27 dicembre 2006, la possibilità di assumere le proprie determinazioni in ordine all’effettuazione di un versamento dei debiti che, in relazione al “quantum” risultante dalla dichiarazione annuale da lui stesso presentata, mantenesse l’omissione non oltre la soglia dei 50 mila euro. La decisione di non provvedere a tanto, che dà luogo alla commissione del reato, si colloca, per come chiarito anche dalle Sezioni Unite Penali (sentenza 37424/2013), in un’epoca anteriore ampiamente successiva all’introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, alla quale non può quindi attribuirsi effetto retroattivo (in violazione del principio di irretroattività della norma penale).
Inoltre per la corte Suprema “Allo stesso modo, privo di smagliature logiche si rivela l’argomento utilizzato dai giudici di merito per confutare la dedotta situazione di difficoltà finanziaria che – a dire dell’imputata – le aveva impedito di versare l’Iva: il mancato accantonamento di una somma sufficiente determina una situazione di difficoltà in cui il contribuente si è volontariamente calato perché l’Iva incassata deve essere versata e non può essere utilizzata per fronteggiare altre esigenze aziendali”.
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