La sentenza della Cassazione n. 10738 del 08 maggio 2013 interviene sulla vicenda di un contribuente che riceve un avviso di accertamento inerente il recupero venivano recuperati a tassazione interessi attivi non contabilizzati e costi indeducibili perché riferiti ad operazioni inesistenti. La società ricevuto l’avviso ricorre ai giudici di merito che accolgono il ricorso del contribuente. L’Agenzia delle Entrate ricorre in Cassazione.
Si per i giudici di merito che per gli Ermellini l’elemento che la controparte sia un evasore totale non può portare automaticamente a sanzionare la società contribuente per presunte “operazioni inesistenti”.
Infatti secondo i giudici l’Agenzia non ha documentato in modo chiaro che le fatture depennate fossero state emesse a fronte di operazioni ritenute inesistenti. Le argomentazioni, portate a sostegno delle operazioni inesistenti, sono basate su presunte qualità di un soggetto diverso da quello verificato.
Pertanto nel caso esaminato dai giudici l’Agenzia delle Entrate e risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio, con “annullamento dell’avviso di accertamento”, per cui la “verifica eseguita nei confronti di una ditta individuale”, catalogata come “evasore totale”, non può costituire prova prova di operazioni inesistenti per alcune “fatture” emesse nei confronti di una società, fatture “relative ad operazioni inesistenti”, secondo il Fisco.
Ma la linea sostenuta dall’Agenzia delle Entrate è non accettabile, secondo i giudici della Cassazione. Perché fondata su “argomentazioni” fragili, ossia “le qualità, solo presunte, di un soggetto diverso da quello verificato, quali inattendibilità e condotta fiscalmente scorretta”. Sarebbe stato necessario del materiale probatorio più consistente e corposo.
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