La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 36053 depositata il 26 settembre 2024, intervenendo in tema di sequestro preventivo delle somme accreditate in banca, ha ribadito il principio secondo cui deve escludersi un’automatica estensione del sequestro a tutte le somme future, comunque individuate, che dovessero entrare nella sfera patrimoniale dell’imputato. Se, infatti, non può escludersi la possibilità di sottoporre alla cautela reale, e in un secondo momento alla misura ablativa definitiva, somme e cespiti costituenti il profitto (o il prodotto) dell’attività illecita che dovessero transitare su conti correnti intestati all’imputato o che dovessero essere, comunque, reperite nel corso di successive indagini, deve al contempo escludersi che questo possa valere per tutte le somme che, indipendentemente dalla loro origine illecita, siano state acquisite al patrimonio del soggetto dopo l’esecuzione della misura. Diversamente opinando, come osservato ancora una volta dalla già citata sentenza di questa Sezione Quinta, n. 31186 del 27/06/2023, si finirebbe per omologare, sul piano funzionale, il sequestro cd. impeditivo al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente o di valore, avente ad oggetto l’equivalente del prezzo o del profitto del reato: misura avente carattere sanzionatorio che è tesa a privare l’agente di ogni beneficio economico derivante dal fatto illecito, a prescindere dall’accertamento del nesso di pertinenzialità tra bene e reato, non applicabile ai delitti di bancarotta fraudolenta. “

I giudici di legittimità, preliminarmente, hanno precisato che ” L’art. 240, primo comma, cod. pen., infatti, prevede che «nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto», nozione quest’ultima che rimanda «al vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito» (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436 – 01; Sez. U, n. 9149 del 3/07/1996, Chabni, Rv. 205707 – 01).

Consegue alla indicata nozione che tra il vantaggio economico e il reato deve esservi un rapporto di stretta derivazione causale: è il cd. nesso di pertinenzialità, che, peraltro, l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale configura non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche rispetto a quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (Sez. 2, n. 28306 del 16/04/2019, Lo Modou, Rv. 276660 – 01; Sez. 5, n. 26444 del 28/05/2014, Denaro, Rv. 259850 – 01), come il risultato della trasformazione del prodotto o del profitto del reato (ex multis 2, n. 30049 del 11/06/2014, Cavalli, Rv. 260051 – 01; Sez. 2 n. 4587 del 18/10/1999, Di Lolli, Rv. 216291 – 01), esso costituire anche il frutto del loro utilizzo.

Per gli Ermellini Il nesso di pertinenzialità, nondimeno, si atteggia in termini affatto peculiari nei casi in cui il vantaggio economico consista in una somma di denaro che sia stata acquisita alla sfera giuridico-patrimoniale dell’agente. In ipotesi siffatte, invero, le Sezioni unite hanno evidenziato come tale ingresso determini una automatica commixtio nummorum con la conseguente perdita di autonoma identificabilità degli elementi monetari: fenomeno di confusione che attrae tutte le componenti liquide nel patrimonio, sia che si tratti di denaro provento di reato, sia che si tratti di asset monetari di origine lecita. Ne consegue, per un verso, che la confisca del provento di un reato, incidendo non su una somma materialmente considerata, ma sul suo valore monetario, deve essere sempre considerata «diretta» e non realizzata in forma per equivalente (per questa ricostruzione v. già Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, in motivazione); e, per altro verso, che avendo il sequestro preventivo di una somma di danaro una finalità ripristinatoria e non afflittivo-sanzionatoria, l’ablazione deve avere ad oggetto «solo l’effettivo accrescimento monetario direttamente prodotto nel patrimonio» dell’agente «dal dimostrato conseguimento da parte sua del prezzo o profitto del reato consistente in una somma di denaro», al quale consegue un fenomeno di «confusione», nel patrimonio dell’imputato, delle somme di danaro costituenti il prezzo o profitto del reato: somme che rappresentano una provvista illecita cui egli può attingere senza intaccare il denaro di provenienza lecita che entra nel suo patrimonio (così Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, Coppola, in motivazione). Dunque, nel caso in cui la misura ablativa abbia ad oggetto del denaro, il nesso di pertinenzialità con il reato, rectius «il nesso eziologico di diretta provenienza, che lega al reato la somma acquisita dall’autore» e che le stesse Sezioni unite precisano sia «lungi dal venir meno» (cfr. Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021), deve essere inteso nel senso che dalla commissione del reato deve essere conseguito un incremento economico della sfera patrimoniale dell’agente quantificato dal punto di vista monetario, fermo restando che tale nesso non presuppone, tuttavia, la «fisica identità della somma confiscata rispetto al provento del reato» («il gruzzolo fisicamente inteso»); con la conseguenza che l’oggetto del sequestro consisterà in una somma corrispondente a quell’accrescimento monetario, il quale, hanno anche precisato le Sezioni Unite, «sia ancora rinvenibile, nella stessa forma monetaria, nel (…) patrimonio» dell’agente. Pertanto, «l’occultamento o il consumo eventuali del pretium delicti, ovvero la sua sostituzione con altro numerario – anche di origine lecita – avrebbero ad oggetto un valore monetario già confluito nel patrimonio del reo e divenuto perciò, al pari degli altri dello stesso tipo ivi rinvenuti, una sua indistinguibile componente liquida, tutt’ora esistente al momento della confisca», laddove «l’eventuale trasformazione di quella componente monetaria rileverebbe solo in quanto essa abbia comportato, al momento della cautela reale o dell’ablazione, il venir meno nel patrimonio del reo di qualsivoglia attivo dello stesso genere» (così, ancora, Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, Coppola, in motivazione).”

Per i giudici di piazza Cavour “non corretta appare la sottoposizione alla misura ablativa sia delle somme accreditate sul conto corrente successivamente all’esecuzione del sequestro preventivo derivanti dalla corresponsione tout court dell’assegno pensionistico e aventi causale lecita (mai revocata in dubbio dal Tribunale del riesame), sia di tutte le somme, genericamente individuate, che confluiranno in futuro sulle anzidette posizioni finanziarie fino alla concorrenza dell’importo corrispondente al profitto come determinato. Come è stato più sopra osservato, infatti, nel caso in cui il sequestro originariamente disposto abbia «azzerato» le disponibilità di denaro sui conti correnti dell’imputato, il successivo maturare dei crediti correlati al rapporto pensionistico, come avvenuto nel caso di specie, non avrebbe realizzato quella «confusione» il cui presupposto è che la somma di denaro «sia stata reperita nel patrimonio del reo al momento dell’esecuzione della misura ablativa o, se del caso, del prodromico vincolo cautelare».”