La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8443 depositata il 4 maggio 2020 intervenendo in tema di proroga dei contratti di lavoro a tempo determinati ha stabilito che “l’art. 4 del d.lgs. n. 368 del 2001, «ratione temporis» applicabile, non impone la forma scritta per la proroga del contratto a tempo determinato, fermo, in ogni caso, l’onere per il datore di lavoro di provare le ragioni obiettive che giustifichino la proroga.”
La vicenda ha riguardato un dipendete, assunto con contratto di lavoro a tempo determinato, della provincia di Trento a cui veniva comunicato a mezzo raccomandata la proroga del contratto. La dipendente adiva al Tribunale, in veste di giudice del lavoro, per la dichiarazione di nullità della proroga del termine e condannato la Provincia al risarcimento del danno. Il Tribunale accoglieva le doglianze della ricorrente. Avverso la decisione del giudice di prime cure, il datore di lavoro proponeva ricorso alla Corte di Appello. I giudici di secondo grado confermarono la sentenza impugnata riformando in punto di quantificazione del danno, riducendone l’ammontare. Avverso la sentenza della Corte di Appello, il datore di lavoro proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
Gli Ermellini accolgono il secondo motivo di ricorso, rigettano il primo e dichiarano assorbito il terzo. Per i giudici di legittimità non è necessaria la forma scritta per la proroga del contratto a tempo determinato, fermo, in ogni caso, l’onere per il datore di lavoro di provare le ragioni obiettive che giustifichino la proroga.
Per i giudici del palazzaccio il predetto meccanismo “non risulta in contrasto con la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che, come affermato dalla Corte di Giustizia (sentenza 26 gennaio 2012, C-586/10), mira a limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti a tempo determinato attraverso l’imposizione agli Stati membri dell’adozione anche soltanto di una delle misure in essa enunciate”.
Per cui la Suprema Corte ha ritenuto che i giudici di appello abbiano confuso il requisito formale (come si è detto non richiesto dal legislatore) con il diverso onere di allegare e di provare, all’interno del processo, la sussistenza di ragioni obiettive giustificative della proroga del termine.
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