La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26983 depositata il 22 ottobre 2019 intervenendo in tema di omesso versamento a seguito di emissione di fattura per operazioni inesistenti ha ribadito che “l’emittente di fatture fittizie non può giovarsi dell’emissione di una nota di credito per evitare il pagamento dell’IVA indebitamente fatturata perché <<in tema di IVA, la speciale procedura di variazione prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, presuppone necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perché venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel secondo comma della norma stessa, sia una operazione vera e reale e non già del tutto inesistente”
Si ricorda che le norme in tema di frode fiscale prevedono sanzioni penali-tributarie ( articolo 2 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000) a carico sia dell’emittente della fattura falsa, che del successivo utilizzatore. In particolare
In particolare ai sensi dell’articolo 8 del D.Lgs. n. 74/2000 il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, reato di mero pericolo a condotta istantanea che richiede il “dolo specifico”, risulta configurabile indipendentemente dalla circostanza che il documento fittizio sia effettivamente utilizzato dal destinatario nella propria dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
Risulta ormai consolidato l’orientamento secondo cui è sempre configurabile il concorso tra il reato di fatture per operazioni inesistenti e quello di omessa presentazione della dichiarazione, poiché, ai sensi della circolare n. 1/2018, l’Iva esposta nelle fatture emesse – ancorché fittizie – è sempre dovuta e, come tale, va regolarmente dichiarata.
A tal proposito il comma 7 dell’articolo 21 del DPR n. 633/72 prevede che “Se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta e’ dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura.”
La vicenda aveva riguardato una società a responsabilità limitata che aveva ricevuto un avviso di accertamento per mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, accertamento di maggiori ricavi non dichiarati e non assoggettati ad IVA ed operazioni soggettivamente inesistenti. Avverso tale atto impositivo la società contribuente proponeva ricorso in Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici respingevano le doglianze della società. La contribuente ricorreva, avverso la decisione della CTP, inanzi alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello accolsero le doglianze della società ricorrente.
L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione della CTR con ricorso in cassazione fondato su due motivi.
Gli Ermellini accolgono il ricorso dell’Amministrazione ribadendo, tra l’altro, che “se la fattura si riferisce a un’operazione inesistente, non è consentita, quindi la variazione in diminuzione; conseguentemente il cedente o falso prestatore deve sempre versare l’imposta esposta in fattura, mentre l’acquirente o il committente non può in alcun caso portare in detrazione l’Iva per assenza del suo presupposto, ossia l’acquisto di beni o servizi acquistati nell’esercizio d’impresa, arte o professione”
I giudici del palazzaccio hanno richiamato oltre al comma 7 dell’art. 21 del DPR 633/72 che in attuazione all’articolo 203 Direttiva CE 2006/112 in base al quale “chiunque indichi l’Iva in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta”. Come del resto sancito anche dalla Corte di Giustizia UE (Corte giustizia UE 18 giugno 2009, Stadeco, causa C- 566/07; Corte di giustizia UE 31 gennaio 2013, causa C-643/11, LVK-56 EOOD, punti 53-56; Corte giustizia 31 gennaio 2013, causa C- 642/11, Stroy trans EOOD, punto 44).
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