Avverso le sentenze della Corte di Giustizia Tributarie di primo grado i mezzi di impugnazione sono:

  • l’appello;
  • il ricorso per cassazione per saltum;
  • la revocazione.

Nel processo tributario in base al rinvio disposto dall’art. 49 del decreto legislativo n° 546 del 1992 trovano applicazione le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile (art. da 323 a 338 del c.p.c.), salvo quanto diversamente previsto dal d. lgs. n. 546/1992.

L’atto di appello è mezzo di gravame a cognizione piena. In altri termini, esso, è un mezzo di impugnazione, comprende ogni vizio della sentenza, che consente di riesaminare tutta la materia del contendere dibattuta in primo grado, salvo dalle limitazione inerente dal divieto di:

  • ius novorum;
  • produrre nuove prove.

Per cui, anche alla luce del divieto di ius novorum e di produrre nuove prove,  l’appello è limitato alle questioni di fatto e di diritto censurate in primo grado ed il relativo giudizio presenta i caratteri di una revisio prioris istantiae, anziché di un novum iudicium. Inoltre può riguardare tanto gli

  • errores in procedendo, riguardanti le violazioni della legge processuale attinenti al profilo di legittimità degli atti di causa
  • errores in iudicando, relativi al merito della lite tali da comportare l’ingiustizia della decisione impugnata;
  • errori di fatto, concernenti la ricostruzione o l’accertamento dei fatti controversi;
  • errori di diritto, riguardanti l’individuazione e l’interpretazione della norma da applicare ai fini della decisione.

Pertanto il contenuto dell’atto di appello può sollevare ogni tipo di censura, con le limitazioni sopra indicate, diversamente dagli altri mezzi di impugnazione  proponibili soltanto per vizi tassativamente indicati:

  • per il ricorso per cassazione per saltum, previsto per i casi elencati dall’art. 360, comma 1, c.p.c. n. 3 dall’art. 62 comma 2 bis del d.lgs. n. 546/1992;
  • la revocazione, per quelli elencati nell’art. 395 c.p.c.

Termine per proporre appello

I termini per la proposizione dell’atto di appello, come nel processo civile, stabiliti dall’articolo 51 del d.lgs. n. 546 del 1992 in

  1. 60 giorni dall’avvenuta notifica della copia autentica della sentenza di primo grado;
  2. sei mesi dal deposito della sentenza qualora la parte non abbia provveduto alla notifica.

la decorrenza dei suddetti termini è sospesa tra il 1° e il 31 agosto (la cosiddetta sospensione feriale).

Notifica: obbligo di proporre l’appello nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado

Il d.lgs. n. 546 del 1992 prevede con il comma 2 dell’art. 53 che Il ricorso in appello è proposto nelle forme di cui all’art. 20, commi 1 e 2, nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado e deve essere depositato a norma dell’art. 22, commi 1, 2 e 3 

Pertanto il ricorso di appello va proposto (notificato) nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado. Viene ravvisata, quindi, una ipotesi di litisconsorzio processuale, che determina l’inscindibilità delle cause anche ove non sussisterebbe il litisconsorzio necessario di natura sostanziale. L’omessa notifica dell’impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti non determina l’inammissibilità del gravame, ma la necessità per il giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 331 c.p.c.,

Tale principio statuito dalla Suprema Corte prevede che(tra le tante Cass., ord., 27616/2018 riguardante il caso dell’impugnazione della sentenza di primo grado dalle sole socie, con ricorsi notificati all’Agenzia, di una sas e non anche dalla società) il giudice di appello deve “… disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società che era stata parte del giudizio di primo grado, ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario processuale; invero, il concetto di causa “inscindibile” (di cui all’art. 331 c.p.c.) va riferito non solo alle ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale (ipotesi comunque parimenti ricorrente nel presente caso; cfr. Cass. SU n. 14815/2008), ma anche alle ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, che si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio (cfr. Cass. n. 567/1998)

(…)

come chiaramente risulta dalla lettura dell’art. 331 c.p.c., la mancata impugnazione della sentenza – pronunciata tra più parti in causa inscindibile – nei confronti non di tutte le parti, ma solo nei confronti di una (o più), non determina l’inammissibilità del gravame, bensì l’ordine del Giudice d’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa, in quanto il ricorso in appello era stato proposto solo nei confronti dell’Ufficio finanziario e la mancanza di tale ordine non comporta l’inammissibilità del gravame (allorchè la parte pretermessa non si sia comunque costituita nel relativo giudizio), dato che la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello – per il mancato ordine di cui sopra – determina la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (cfr., ex multis, Cass. nn. 10934/2015, 1462/2009, 8854/2007, 1789/2004, 11154/2003) …”

(per un approfondimento sull’argomento leggasi “Processo tributario: notifica dell’atto di appello a tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado“)

Notifica

L’articolo 16-bis del D.Lgs. n. 546/1992 prevede che le notifiche e il deposito degli atti del processo tributario debbano avvenire esclusivamente con modalità telematiche.

Notifica: principio della scissione degli effetti

Gli effetti, come costantemente affermati dalla Suprema Corte, della notifica a mezzo PEC andata a buon fine, sono differenti per il mittente e per il destinatario. Infatti, dette notificazioni:

  • per il mittente si intendono eseguite al momento dell’invio del documento al proprio gestore PEC, attestato dalla ricevuta di accettazione (RdAC) rilasciata al medesimo gestore del sistema. Quindi, che, per il mittente, ai fini del corretto perfezionamento della notifica risulta indifferente che il destinatario visualizzi o meno il contenuto della PEC ricevuta. E’ sufficiente che il gestore del sistema di trasporto delle informazioni renda accessibile l’atto al destinatario affinché la notifica si ritenga perfezionata. In sostanza, è sufficiente che il messaggio di PEC venga consegnato al gestore del servizio del destinatario, che ne rilascia immediata e automatica ricevuta (RAC).
  • per il destinatario occorre far riferimento al momento in cui il documento informatico è reso disponibile nella casella PEC dal suo gestore.

Notifica: modalità operative a mezzo PEC

E’ consigliabile, come chiarito dalla circolare del ministero, di indicare nell’oggetto e nel messaggio della PEC alcuni elementi al fine di:

  • consentire al destinatario la corretta individuazione dell’atto notificato (ricorso o provvedimento del giudice) per le conseguenti attività defensionali;
  • consentire al destinatario di comprendere la finalità della notifica dell’atto;
  • permettere al notificante, una volta perfezionata la procedura di notifica, di ottenere ricevute PEC di accettazione e consegna complete di tutte le informazioni e i dati riguardanti gli atti oggetto di notifica.

Gli elementi da indicare nell’oggetto e nel corpo del messaggio della PEC in caso di notifica di un atto sono:

nell’oggetto della PEC la seguente dicitura “notificazione ai sensi dell’art. 16 bis, comma 3, D.Lgs. n. 546/92” 

Mentre nel nel corpo del messaggio, si consiglia di indicare:

  • la tipologia dell’atto (es: ricorso, appello, istanza di pubblica udienza, sentenza, ecc.);
  • l’atto impositivo impugnato ovvero gli estremi della sentenza;
  • il nome, cognome ed il codice fiscale del difensore/ufficio notificante;
  • il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale ed il codice fiscale della parte che ha conferito la procura alle liti ove necessaria;
  • il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale del destinatario;
  • l’indirizzo di PEC a cui l’atto viene notificato;
  • l’indicazione della Commissione tributaria adita.

Ove la notifica abbia ad oggetto la sentenza è opportuno indicare nell’oggetto la dicitura “notificazione ai sensi dell’art. 16 bis, comma 3, D.Lgs. n. 546/92” e nel messaggio specificare che si tratta di notifica ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. n. 546/92, ai fini della decorrenza del termine breve.

Notifica effettuata direttamente dalla parte

La Corte di Cassazione, sez. V, con l’ordinanza n. 21544 del 2021 ha precisato, in merito alla notifica direttamente dalla parte, che “… La notifica effettuata alla parte personalmente, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992, prevale sulla elezione di domicilio anche in grado di appello (Cass., sez. un., n. 14916/2016; Cass. sez.un., 13654/2011; Cass., 18 settembre 2020, n. 19451; Cass., 21 ottobre 2020, n. 22909; Cass., 28 ottobre 2019, n. 27583; Cass., 13 novembre 2018, n. 29107; Cass., 25 settembre 2019, n. 23881).

Invero, la disciplina speciale di cui all’art. 17; comma 1,(“Le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della costituzione in giudizio”) e 2 del d.lgs. 546/1992 (“L’indicazione della residenza o della sede o l’elezione di domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo”) vale solo per i giudizi di merito tributari, ma non per il giudizio di cassazione, ove trova applicazione l’art. 330 c.p.c. – “si notifica , ai sensi dell’art. 170, presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio “ – (Cass., 4233 del 2017; Cass., sez.un., 14916 del 2016).

L’art. 17 d.lgs. 546/1992 costituisce eccezione alla disposizione di cui all’art. 170 c.p.c., sicché è applicabile anche alla notificazione del ricorso in appello, mentre l’art. 330 c.p.c. si applica al ricorso per cassazione (Cass., 4233/2017, in motivazione).

Tuttavia, l’ultrattività dell’indicazione della residenza, consente che il ricorso per cassazione sia correttamente notificato ai sensi dell’art. 330 c.p.c. alla residenza del contribuente, anche nel caso in cui il soggetto destinatario della notificazione non si sia costituito nel giudizio di appello oppure, pur costituitosi, non abbia fatto alcuna indicazione (Cass., sez. un., 20 luglio 2016, n. 14916).

(…)

 in tema di notificazione degli atti di impugnazione nel processo tributario, per il ricorso per cassazione trova applicazione la regola generale enunciata dall’art. 330 c.p.c., mentre per l’appello opera la disciplina speciale dettata dall’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass., sez. 5, 6 giugno 2018, n. 14549, dove si precisa che la regola per cui la notificazione può eseguirsi in ogni caso “a mani proprie” non è estensibile alle società di capitali, per le quali la ricezione degli atti non può avvenire che per mezzo di altre persone; Cass., sez. 5, 25 gennaio 2006, n. 1446, con riferimento al vecchio rito di cui al d.P.R. n. 636 del 1972;). …”

Notifica: obbligo di invio al domicilio eletto

Alla luce degli articoli 16 e 17, Dlgs n. 546/1992 che le impugnazioni secondo grado, salvo la consegna a mani proprie, devono pervenire nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio. In altri termini, come ribadito dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 11609 del 4 maggio 2021, che l’elezione di domicilio contenuta nel ricorso introduttivo vale anche per i successivi gradi di giudizio e quindi la notifica presso il domicilio reale della parte e non presso il domicilio eletto è nulla per violazione dell’articolo 330 c.p.c.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8426 del 31.03.2017  ha ribadito che “… In tema di contenzioso tributario, la notifica dell’appello effettuata alla parte presso il suo domicilio reale, invece che presso lo studio del procuratore costituito e domiciliatario per il primo grado di giudizio, è nulla per violazione dell’articolo 330 c.p.c. , applicabile – nella parte in cui impone di eseguire la notifica dell’impugnazione non direttamente alla controparte, ma nel domicilio eletto ex articolo 170 c.p.c. – in virtù del richiamo di cui agli articoli 1, comma 2 e 49 del D.Lgs. 546/1992 . Ne consegue, in caso di omessa costituzione dell’appellato, la necessaria rinnovazione ex articolo 291 c.p.c.. 

Il principio affermato, precedentemente, con l’ordinanza n. 2707/2014 della Corte Suprema, secondo cui: “nel processo tributario, la notifica dell’atto di appello effettuata alla parte personalmente e non al suo procuratore nel domicilio dichiarato o eletto, produce non l’inesistenza ma la nullità della notifica stessa, della quale deve essere disposta “ex officio” la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c., salvo che la parte intimata non si sia costituita in giudizio; ipotesi nella quale la nullità deve ritenersi sanata “ex tunc” secondo il principio generale dettato dall’articolo 156 c.p.c., comma 2″.

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 22909 del 21 ottobre 2020 (riguardante la notifica effettuata al difensore non domiciliatario) che ha riaffermato che “… in tema di contenzioso tributario, la notifica dell’appello, cui si applica l’art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992, avente carattere di specialità rispetto all’art. 330 c.p.c., va effettuata, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio, con la conseguenza che è nulla (e non inesistente) ove eseguita presso il procuratore costituito in primo grado ma non domiciliatario (cfr. Cass. 17 febbraio 2017, n. 4233; vedi, altresì, sulla natura del vizio della notificazione e sui suoi effetti, Cass.,’Sez. Un., 20 luglio 2016, n. 14916);

(…) tale nullità, in quanto non sanata dalla costituzione del convenuto e rilevata solo in sede di legittimità, comporta la cassazione della sentenza con rinvio ad altro giudice di pari grado, dinanzi al quale, essendo ormai l’impugnazione pervenuta a conoscenza dell’appellato, è sufficiente la riassunzione della causa nelle forme di cui all’art. 392 c.p.c.; …”

Notifica valida anche se notificata una sola copia al difensore costituito

La  Cassazione, Sezione Quinta Civile, con sentenza del 21 novembre 2014, n. 24801 ha ribadito il principio di diritto secondo cui «è valida – tanto nel processo civile, quanto nel processo tributario – la notifica dell’impugnazione eseguita mediante consegna di una sola copia all’unico difensore costituito in rappresentanza da più parti». Pertanto è ammissibile l’appello che ha regolarmente coinvolto tutte le controparti anche se risulta notificata una sola copia al difensore costituito, invece che una per ogni coerede.

Inammissibilità dell’appello in mancanza del difensore 

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 29919, depositata in data 13 dicembre 2017, hanno stabilito che l’appello è inammissibile se la parte privata, superando il previsto valore della lite, non si munisce di difensore e, a tal fine, non è necessario che i giudici di secondo grado ammoniscano preventivamente il contribuente a provvedere in tal senso se di tale obbligo il contribuente era già stato edotto in primo grado.

Appello incidentale tributario (54 co. 2 del DLgs. 546/92).

L’appello incidentale tributario è lo strumento processuale che l’ordinamento fiscale mette a disposizione delle parti (contribuente o Agenzia delle Entrate/Agenzia delle Entrate-Riscossione) nell’ipotesi in cui queste siano risultate parzialmente vittoriose nel processo tributario di primo grado.

In tali ipotesi l’interesse di entrambe le parti è di proporre un ricorso in appello avverso la sentenza impugnata della Commissione Tributaria Provinciale.

Tuttavia, uno solo degli appelli tributari proposti può essere il principale.

Quindi, la parte che procede per prima alla notifica dell’appello alla controparte è sostanzialmente la parte che instaura la lite in secondo grado, determinando l’appello tributario principale.

La parte appellata – la parte cioè che per prima ha ricevuto la notifica dell’appello – dovrà invece proporre atto di controdeduzioni e appello incidentale tributario: quest’ultimo deve quindi essere formulato nello stesso atto di controdeduzioni della parte appellata.

In sostanza, l’appello incidentale tributario si distingue dal ricorso in appello per il solo motivo temporale, in quanto predisposto successivamente alla avvenuta notifica dell’appello principale.

L’appello incidentale tributario – unitamente alla parte dello stesso proposto a titolo di controdeduzioni all’appello tributario principale – deve essere proposto entro il termine di 60 giorni a decorrere dalla notifica dell’appello principale a pena di inammissibilità.

Appello incidentale tardivo: effetti

La Corte di Cassazione con l’ ordinanza n. 31135 depositata il 21 ottobre 2022 ha statuito che l’impugnazione incidentale tardiva della sentenza, da qualunque parte provenga, va dichiarata inammissibile laddove l’interesse alla sua proposizione non possa ritenersi insorto per effetto dell’impugnazione principale, trattandosi di una impugnazione che non dipende da quella avversa, nel senso che l’interesse ad impugnare non nasce dalla impugnazione altrui, non potendo consentirsi di recuperare, mediante impugnazione tardiva, la possibilità di effettuare una impugnazione il cui interesse era già presente dal momento della pubblicazione della sentenza. 

La Corte di Cassazione, sez, un., con la sentenza n. 24627 depositata il 27 novembre 2007 ha statuito che sulla base del principio dell’interesse all’impugnazione, l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza; conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale

Deposito dell’appello nel processo telematico

Il ricorso in appello è proposto (nelle stesse forme del ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado)

Al fine di costituirsi in giudizio e depositare un appello tributario è obbligatorio avvalersi del processo telematico tributario, registrandosi al SIGIT.

La costituzione in appello va effettuata entro il termine di 30 giorni a partire dalla data di notifica dell’atto alla controparte con il deposito dei seguenti documenti:

atto di appello firmato digitalmente e con attestato di conformità;

 allegati:

le ricevute PEC di notifica e accettazione, anch’esse firmate digitalmente e con attestato di conformità.

La costituzione dell’appellato deve avvenire entro 60 giorni della notifica, mediante il deposito di un atto di controdeduzioni all’appello.

Con il decreto legislativo n. 175 del 2014 c.d. “semplificazioni fiscali” è stato soppresso l’obbligo per l’appellante  – a pena di inammissibilità – depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado che aveva pronunciato la sentenza impugnata, nei casi in cui il ricorso non veniva notificato a mezzo di ufficiale giudiziario.

Contenuto dell’atto di appello

Per la validità dell’atto di appello occorre, oltre a consentire di individuare le situazioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro lato, esso esige pur sempre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. Nel qual caso l’appellante deve indicare quale sia la diversa decisione che egli richiede al giudice di appello (Cass., S.U., sent.,16/2000; Cass., sent. 404/1999)

La giurisprudenza della Corte Suprema (Cass. SS. UU. sent., 16 novembre 2017, n. 27199.) ha affermato che l’art. 342, va inteso nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. 

La Corte di cassazione (sentenza 15.2.2022, n. 21489) ha affermato che va consentito ricorrere in secondo grado “ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado”, a prescindere dalla corretta esposizione dei motivi.

Inoltre, “non è esclusa la riproposizione delle ragioni e delle argomentazioni già poste a fondamento del ricorso introduttivo del giudizio, ovvero delle controdeduzioni, quando queste ex se esprimano le ragioni di critica della pronuncia appellata nel suo intero contenuto” e la specificità “va correlata al tenore complessivo dell’atto di gravame ove, dunque, le ragioni di critica del decisum fatto oggetto di impugnazione debbono desumersi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni”.

I principi sopra riportati sono stati ribaditi anche dalla Cassazione, Sez. VI, con l’Ordinanza n. 3124 del 2 febbraio 2022, la quale ha precisato che “… anche nel processo tributario l’atto con cui si propone l’impugnazione deve essere interpretato nel suo complesso, al fine di verificare la presenza di tutti gli elementi della domanda che siano prescritti sotto comminatoria di nullità o di inammissibilità (Cass. n. 687/07; 19639/08). In un’ottica di tendenziale conservazione degli atti processuali, invero, la mancanza di un requisito formale dell’atto di appello non può, di per sé, equivalere a difetto di impugnazione, se dal contesto dell’atto risulti, sia pur in termini non formali, una univoca manifestazione di volontà di proporre il gravame per quello specifico motivo o nei confronti di un determinato soggetto (Cass. n. 7585/03; 25751/13, 20418/14)

(…)

con particolare riguardo alla specificità dei motivi dell’impugnazione questa Corte ha affermato che “In tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 20379 del 24/08/2017; Sez. 5, Sentenza n. 6473 del 06/05/2002); tale necessaria interpretazione complessiva dell’atto di appello vale anche per altri elementi (estremi della sentenza, esposizione sommaria dei fatti e oggetto della domanda) indicati dall’art. 53 cit., tanto più che come, da ultimo, sottolineato da questa Corte “Nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello (per difetto di specificità dei motivi), prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, (dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione)” (Cass., sez. 5, Sentenza n. 707 del 15/01/2019)”.

(…) l’art. 53, comma 1, d.lgs. 546/1992 non impone rigidi formalismi, di conseguenza i motivi d’appello “non devono necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica indicazione ma possono essere ricavati anche per implicito purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni purché vi sia un’esposizione chiara ed univoca anche se sommaria”.

Proprio per queste ragioni, la Suprema Corte puntualizza che “Nel processo tributario, anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado, deve ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, che costituisce norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c.”. ….”.