La stessa Corte di Giustizia della Comunità Europea (CGCE) esprimendosi sul tema ha chiaramente (vedasi Sent. CGCE 18 gennaio 2017, causa C-37/16, SAWP) affermato che affinché sorga il presupposto per il pagamento dell’IVA (e della relativa detrazione), è necessario che il compenso sia convenuto come “corrispettivo di un servizio individualizzabile fornito nell’ambito di un siffatto rapporto giuridico”. La Corte nella sentenza in commento evidenzia che le prestazioni non sono invece “individualizzabili” se non si correlano singolarmente al pagamento, ma solo (globalmente) al fatturato raggiunto, ai fini dell’ottenimento di un “premio”.
La vicenda ha riguardato una società, che opera nel settore pubblicitario, che a seguito della verifica venivano contestate l’emissione delle fatture nei confronti di società concessionarie di spazi pubblicitari, assoggettandole a IVA con aliquota del 20%. In maniera specularmente per le società concessionarie, ricevute le fatture, le avevano contabilizzate, detraendo gli importi dell’IVA.
Avvero l’avviso di accertamento, notificato alla società, veniva proposto ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accoglievano le doglianze della società ricorrente. L’Amministrazione finanziaria impugnava la decisione dei giudici di prime cure con ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello riformarono la sentenza impugnata valorizzando le dichiarazioni rese dal direttore amministrativo-finanziario della società, che ha escluso l’assunzione di obblighi tra la concessionaria di pubblicità da un lato e la A. M. I. dall’altro e sottolineando che la contribuente non ha addotto alcun elemento a sostegno dell’onerosità delle cessioni di danaro in questione.
La società contribuente impugnava la sentenza della CTR proponeva ricorso in cassazione fondato su nove motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso della contribuente. I giudici di legittimità richiamano la giurisprudenza comunitaria in materia precisando che grava sull’acquirente di beni o al committente di prestazioni di servizi che invochi il diritto di detrazione dell’IVA l’onere di provare la sussistenza dei necessari presupposti.
Inoltre, nella sentenza in commento, i giudici della Corte Suprema precisano che “Per giurisprudenza costante”, una determinata prestazione di servizi si considera effettuata a titolo oneroso ai fini dell’IVA solamente quando tra l’autore della prestazione e il suo destinatario intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche. In tale scambio, il compenso ricevuto dal primo costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al secondo. Questa nozione di prestazione di servizi, di derivazione comunitaria, si rispecchia nel diritto interno.
Per la detraibilità dell’imposta occorre la corrispettività, e non della mera onerosità, che si traduce nella reciprocità assicurata dallo scambio. Pertanto lo scambio deve avere le seguenti caratteristiche:
- la configurabilità di un rapporto giuridico da cui scaturiscano le attribuzioni patrimoniali;
- la reciprocità delle attribuzioni, data dalla sussistenza di un nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario ed il compenso da esso corrisposto;
- il fatto generatore dell’IVA va identificato con la materiale esecuzione della prestazione, in corrispondenza della quale si determina l’esigibilità del tributo, e quindi l’adempimento dell’obbligo di fatturazione.
Nella fattispecie il pagamento delle prestazioni di servizi rese a favore dei concessionari di pubblicità dal centro media avveniva non al perfezionamento di ogni singola prestazione di servizi resa, ma in base al risultato economico che il concessionario otteneva periodicamente, senza alcun legame diretto ed immediato tra prestazione e corrispettivo.
Secondo quanto osserva la Corte, che fa valere l’orientamento della giurisprudenza comunitaria, “il carattere incerto della stessa esistenza di un compenso spezza il nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario e il compenso eventualmente ricevuto, necessario per l’assoggettabilità ad iva della prestazione di servizi”.
Se quindi l’attività di un prestatore consiste nel fornire esclusivamente prestazioni senza corrispettivo diretto, non vi è base imponibile e le prestazioni non sono soggette ad IVA.
In particolare, la Cassazione ha fatto riferimento alla Sent. CGCE del 10 novembre 2016, in esito alla causa C-432/15, Bastovà, secondo la quale un’operazione è presupposto impositivo dell’IVA soltanto se l’imposta sia di per sé compensata, indipendentemente dal conseguimento di premi (o, con riguardo al caso di specie, di un risultato economico programmato).
La fattispecie in esame non può neppure ricondursi alla mediazione o al procacciamento d’affari (ipotesi accomunate dall’avere a oggetto la prestazione di un’attività diretta a favorire a terzi la conclusione di un affare – Cass. 24 febbraio 2009, n. 4422 e 20 dicembre 2016, n. 26370). Infatti, nella situazione qui illustrata non è ravvisabile il nesso tra il corrispettivo e una serie di prestazioni non “individualizzabili” (“se non per la loro idoneità a raggiungere il fatturato minimo che fa scattare la maturazione del compenso”).
Irrilevante, secondo la Cassazione, è altresì la circostanza che le somme in questione siano state oggetto di regolari fatture.
Se non ne esistono i presupposti, non è comunque possibile esercitare il diritto di detrazione, per impossibilità giuridica del suo oggetto. Il principio di neutralità cui è informato il sistema dell’IVA comporta che in termini reali l’onere fiscale grava esclusivamente sul consumatore e non sugli operatori economici che partecipano al procedimento produttivo o distributivo. Questi ultimi vengono esentati dall’onere reale dell’IVA proprio grazie al sistema debito-detrazione, che deve essere correttamente osservato.
In tale prospettiva, poco importa che le parti abbiano applicato un determinato trattamento fiscale (nel caso di specie, la fatturazione con IVA ordinaria e la detrazione), poiché il contribuente ha l’obbligo di corrispondere l’imposta prevista dalla legge e non quella scelta in base a considerazioni soggettive.
In definitiva, secondo l’argomentare e la ricostruzione della Corte, la legittimità della detrazione discende dal fatto di aver assolto l’imposta perché dovuta, in quanto collegabile a una controprestazione.