La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 1148 depositata il 10 gennaio 2024, intervenendo in tema di bancarotta fraudolenta da reato societario, ha statuito che il bilancio è un “… atto caratterizzato da profili descrittivi (consistenti nella mera rappresentazione del dato storico) e valutativi (consistenti nella verifica di conformità della situazione fattuale rispetto a parametri predeterminati). E per entrambi è ben ipotizzabile un profilo di falsità. Nel primo caso attraverso la difforme esposizione (anche sotto il profilo omissivo) del dato rappresentato; nel secondo caso, essendo la verifica di conformità vincolata al rispetto di criteri predeterminati dalla scienza e dalla tecnica estimativa, attraverso una valutazione non conforme ai parametri cui essa è vincolata (Sez. 5, n. 22B8 del 13/11/2014, dep. 2015, Rv. 262728; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012 – dep. 2013, Rv. 254305). Solo in questi casi, infatti, divenendo l’esposizione del dato un modo di rappresentare la realtà (in termini di coerenza o meno con i predetti criteri) non dissimile dalla descrizione o dalla constatazione, la valutazione, ove si discosti consapevolmente dai detti criteri senza fornire adeguata informazione giustificativa, potrà ritenersi “falsa” (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266803; Sez. 5, n. 46689 del 30/06/20:1.6, Coatti, Rv. 268672; Sez. 5, n. 3552 del 09/02/1999, Rv. 213366). …”
La vicenda ha riguardato i componenti del consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita, accusati del reato di cui agli artt. 110, cod. pen., 223 commi 1 e 2, n. 1, in relazione agli artt. 216 l. fall. e 2621 cod. civ., per aver, cagionato il dissesto della società omettendo dii svalutare i crediti inesigibili (come imposto dall’art. 2426, n. 8, cod. civ.). Il Tribunale condanna gli imputati per il reato loro ascritto. Avverso la decisione di primo grado gli imputati ricorrono in appello. La Corte territoriale con ferma la sentenza impugnata. Avverso la decisione dei giudici di appello gli imputati ricorrono in cassazione.
Gli Ermellini annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
I giudici di legittimità premettono che “… il bilancio, in sé, è un insieme di valori che, nel rispetto delle norme di legge, ha la funzione di informare gli interessati sia in ordine al risultato economico dell’esercizio, che alla situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa. Una fotografia “statica e dinamica” che ha lo scopo di orientare le determinazioni degli altri operatori del mercato (e, in quanto tale, è espressione della necessaria tutela dell’affidamento), degli stessi soci (in particolare per quelli di minoranza, per i quali è il solo strumento legale di informazione contabile sull’andamento degli affari sociali), e dei creditori sociali (quale strumento privilegiato per conoscere la consistenza del patrimonio della società, sola garanzia su cui essi possono fare affidamento). …”
Il Supremo consesso continuando il suo ragionamento rileva, sul presupposto del reato contestato agli imputati che attiene alla valutazione di esigibilità dei crediti esposti in bilancio al loro valore nominale, laddove, secondo la prospettazione accusatoria, si sarebbero dovuti totalmente svalutare in quanto privi di un effettivo valore di realizzo che “… i crediti, secondo la scienza aziendalistica, rappresentano diritti ad esigere, ad una scadenza, individuata o individuabile, un ammontare fisso o determinabile di disponibilità liquide (o di beni o servizi aventi un valore equivalente), dai clienti o da altri soggetti.
In applicazione del principio generale della rappresentazione veritiera e corretta, l’art. 2426, al n. 8, impone che tali poste (il cui valore, per come si è detto, è ontologicamente dipendente dal futuro adempimento del debitore) vengano esposte in bilancio in funzione del loro presumibile realizzo.
La norma codicistica trova, poi, la sua specificazione nel principio contabile n. 15 formulato dall’OIC che, nella formulazione vigente al 13 luglio 2005, precisa(va) che “il valore nominale dei crediti in bilancio deve essere rettificato, tramite un fondo di svalutazione appositamente stanziato, per le perdite per inesigibilità che possono ragionevolmente essere previste e che sono inerenti ai saldi dei crediti esposti in bilancio. Detto fondo deve essere sufficiente (adeguato ma non eccessivo) per coprire, nel rispetto del principio di competenza, sia le perdite per situazioni di inesigibilità già manifestatesi, sia quelle per altre inesigibilità non ancora manifestatesi ma temute o latenti” e deve essere fondato “su presupposti ragionevoli, utilizzando tutte le informazioni disponibili, al momento della valutazione, sulla situazione dei debitori, sulla base dell’esperienza passata, della corrente situazione economica generale e di settore, nonché dei fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio che incidono sui valori alla data del bilancio“.
[…]
che la stima sia stata fallace e, quindi, scientificamente errata, non significa che sia stata anche falsa. La possibilità di applicare i criteri di veridicità o di falsità ad un enunciato valutativo dipende non solo dall’esistenza di criteri di valutazione generalmente accettati, ma anche dal loro grado di specificità e di elasticità (Sez. 5, n. 3552 del 09/02/1999, Rv. 213366).
Il principio, per come è formulato, non individua criteri predeterminati, certi e analitici alla luce dei quali determinare tale valore, ma rimanda ad un generale criterio di “ragionevolezza”, alla luce di quali individuare, in ragione delle contingenze specifiche, le effettive prospettive di esigibilità. Si tratta, quindi, di una norma (volutamente) elastica, in quanto volta a ricomprendere ipotesi concrete insuscettibili di essere inquadrate all’interno di rigide classificazioni o predeterminate casistiche.
[…]
proprio alla luce di tale evidenziata elasticità e della genericità della valutazione presupposta nell’applicazione di questo criterio, la semplice indicazione della (pacifica) assenza di tentativi di recupero e del tempo medio d’incasso progressivamente crescente non appare elemento sufficiente per sostanziare il giudizio di falsità: sarebbe stato necessario indicare gli eventuali criteri di valutazione ritenuti applicabili e rilevanti (alla luce della situazione concreta), specificando, poi, in che modo l’omissione di questi ultimi abbia concretamente inciso sulla determinazione del valore. …”
Pertanto per i giudici di piazza Cavour la stima sia stata fallace non significa che sia stata anche falsa in quanto la scienza aziendalistica non individua criteri predeterminati ma soltanto alcuni indicatori dai quali desumere «la probabilità» che un credito abbia perso valore. Nel caso di specie inoltre i giudici di merito non hanno indicato i criteri di valutazione applicabili e spiegare come il mancato utilizzo abbia inciso sulla determinazione del valore.
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