La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 3111 depositata il 12 febbraio 2014 intervenendo in tema di redditometro ha statuito che l’accertamento con metodo sintetico deve essere annullato se il contribuente dimostra “con documentazione inoppugnabile” che il finanziamento alla società è giustificato da somme disinvestite nell’anno precedente.
La vicenda nasce dalla notifica ad un contribuente un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate, per il 1997, aveva determinato sinteticamente un reddito tassabile, ai fini IRPEF e ILOR. L’accertamento si era fondato su indici sintomatici della capacità contributiva costituiti dal possesso di sei abitazioni (una principale e le altre secondarie) e di un’autovettura di “lusso”, nonché dall’incremento patrimoniale derivante da un finanziamento di oltre 290 milioni di lire eseguito nei confronti di una Snc.
Il contribuente avverso l’atto impositivo ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accoglievano le doglianze del ricorrente annullando l’avviso di accertamento. L’Amministrazione finanziaria impugnava la decisione del giudice di prime cure dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello rigettavano il ricorso del Fisco e confermavano la pronuncia del giudice di primo grado evidenziando che, a fronte di un accertamento sintetico fondato su presunzioni semplici, il contribuente aveva fornito idonea prova della disponibilità di somme derivanti da disinvestimenti, dunque della disponibilità di redditi esenti. Con “documenti inoppugnabili” aveva infatti provato di avere, nel periodo immediatamente precedente, alienato un immobile e disinvestito titoli di Stato e che tale liquidità era stata versata in conto capitale nella società partecipata. Dal canto suo, l’Ufficio non aveva dimostrato che quei redditi erano stati utilizzati in maniera diversa dal finanziamento alla società.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso, basato su un unico motivo di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini rigettano il ricorso del Fisco. I giudici di legittimità hanno ritenuto corrette le valutazioni della CTR. Infatti i giudici del Palazzaccio hanno riaffermato il principio di diritto secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’Amministrazione Finanziaria determini sinteticamente il reddito complessivo netto relativamente alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall’articolo 38 sesto comma del D.P.R. n. 600 del 1973 non riguarda la sola disponibilità di redditi oppure di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato). (Cass. 6813/2009)
La Corte di Cassazione ha precisato che il giudice di merito, con accertamento adeguatamente motivato in fatto, non suscettibile, come tale, di riesame in sede di legittimità, ha valutato la documentazione prodotta dal contribuente e ha ritenuto fornita la prova che il ricavato dalle operazioni effettuate nel 1997 (cessione di fabbricato e disinvestimento titoli di Stato) era stato utilizzato proprio per l’avvenuto versamento in favore della società. Tanto in base sia alla contiguità temporale delle operazioni – avvenute nel periodo immediatamente precedente rispetto al finanziamento – sia alla sostanziale corrispondenza dell’importo delle operazioni sia, infine, alla mancanza di prova contraria da parte dell’Ufficio (la prova, cioè, che quei redditi siano stati investiti in maniera diversa dal finanziamento della società).
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