La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 1909 depositata il 16 gennaio 2017 interviene in In tema di responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231 del 2001 e riduzione della somma oggetto di sequestro preventivo e confermato il “principio della prevalenza del contenuto sostanziale dell’atto impugnato e della sua funzione processuale, rispetto alla mera denominazione formale, pertanto, legittimamente i ricorrenti hanno proposto appello avverso l’ordinanza del giudice per l’udienza preliminare che aveva erroneamente qualificato la richiesta quale incidente di esecuzione (cfr. sez. 1, n. 22652 del 22/05/2014, Rv. 259611), e deve riconoscersi come erronea la qualificazione giuridica attribuita all’istanza dei ricorrenti anche dall’ordinanza del Tribunale del riesame in questa sede impugnata.”
La vicenda ha riguardato un provvedimento di sequestro preventivo ai sensi degli artt. 19 e 53 del D.Lgs. n. 231 del 2001 per una somma di poco superiore ai 2 milioni di euro. Oggetto del giudizio di fronte alla Corte di Cassazione è stato proprio l’entità della somma sottoposta a sequestro preventivo dopo che il Tribunale del riesame ha respinto l’istanza volta alla riduzione del sequestro.
Il Tribunale del riesame aveva respinto l’istanza di riduzione ritenendo, da un lato, che avrebbe dovuto essere rivolta al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 667 comma 4 c.p.p., dall’altro, che essa fosse comunque infondata, poiché basata su “una mera perizia di parte”.
L’ordinanza del Tribunale veniva impugnata inanzi alla Corte Suprema.
Per gli Ermellini la perizia di parte, con cui venivano ricalcolati gli importi, può far ridurre il sequestro dei beni dell’imprenditore ai sensi della legge n. 231/2001. Il giudice può ignorarla soltanto motivando sulle ragioni dell’irrilevanza.
Per i giudici del palazzaccio l’istanza del ricorrente non andava qualificata come incidente di esecuzione avendo ad oggetto non le modalità di esecuzione del sequestro preventivo, ma era finalizzata a ottenere la sua riduzione attraverso il dissequestro della differenza tra l’importo del profitto, come calcolato nel corso del procedimento, e il minore importo asseritamente risultante dall’elemento di novità costituito dai conteggi effettuati dalla consulenza tecnica di parte presentata dai ricorrenti.
Viene, ancora, evidenziato dai giudici della Corte Suprema che il ricorso di legittimità avverso le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo” sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante oppure privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
Per i giudici della corte di legittimità l’ordinanza impugnata presenta proprio un vizio di motivazione, qualora la sentenza si limita ad affermare in modo apodittico che “non è sufficiente a giustificare l’ulteriore riduzione dell’importo una mera consulenza di parte“, senza alcuna indicazione delle ragioni per cui si siano ritenute irrilevanti le deduzioni di cui alla consulenza medesima e, quindi, senza consentire di comprendere quale sia stato il percorso logico che ha portato a ritenere le argomentazioni addotte in tale consulenza inidonee a sostenere le ragioni degli odierni ricorrenti.
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