La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 49011 depositata il 2 dicembre 2019 intervenendo in tema di antiriciclaggio ha statuito che si configura il reato di riciclaggio qualora si riceva, senza giustificazione, denaro “di provenienza delittuosa, per le caratteristiche delle società che aveva disposto i bonifici (e della persona fisica che era anch’ella coinvolta nelle medesime attività delittuose) e per gli stretti legami tra il ricorrente e l’organizzazione criminale che aveva programmato la realizzazione di un numero indeterminato di truffe in danno di istituti di finanziamento”
La vicenda ha riguardato un imprenditore che aveva ricevuto sul conto corrente alcuni bonifici, senza alcun valido titolo giuridico che potesse giustificare l’erogazione del denaro, da parte di persone fisiche e giuridiche coinvolte nelle attività criminose (truffa e illeciti fiscali) del sodalizio, ostacolandone la tracciabilità. Le attività criminose erano effettuate mediante “l’utilizzo di fittizie pratiche, sorrette da falsa documentazione e dall’apparenza di rapporti di lavoro tra gli indagati, tra cui l’imputato, e le società emittenti che versavano somme a titolo di retribuzioni ai soggetti che materialmente conseguivano i finanziamenti”. Il PM aveva chiesto al GIP l’applicazione di misure cautelari. Il GIP aveva declinato la propria competenza territoriale. Il PM proponeva ricorso al Tribunale, i cui giudici accolgono le doglianze del PM. L’indagato, a mezzo del suo difensore, propone ricorso in cassazione, avverso l’ordinanza del Tribunale, fondato su due motivi.
Gli Ermellini accolgono la seconda doglianza inerente l’omissione del Tribunale di motivare sugli elementi indicativi dell’attualità delle esigenze cautelari, anche alla luce del tempo trascorso dalla commissione dei fatti e dell’assenza di ulteriori segnalazioni di analoghe condotte contestabili all’indagato.
I giudici di legittimità, ritenuto del tutto infondato il presunto vizio sulla consistenza del delitto presupposto, hanno puntualizzato che “il Tribunale del riesame ha affrontato il tema della provenienza delittuosa delle somme utilizzate per l’esecuzione dei bonifici sul conto corrente del ricorrente, esponendo le ragioni indicate nel provvedimento del G.i.p., ricostruendo le movimentazioni eseguite sul conto corrente e individuando le circostanze di fatto e gli argomenti logici ritenuti idonei a dimostrare che quelle somme dovevano ritenersi di provenienza delittuosa, per le caratteristiche della società che aveva disposto i bonifici (e della persona fisica che era anch’ella coinvolta nelle medesime attività delittuose) e per gli stretti legami tra il ricorrente e l’organizzazione criminale che aveva programmato la realizzazione di un numero indeterminato di truffe in danno di istituti di finanziamento”.
I giudici del palazzaccio hanno riaffermato che l’accertamento del delitto presupposto “non deve essere contenuto in una sentenza irrevocabile” in quanto il giudice chiamato a decidere sulla effettività del reato di riciclaggio può basare la sua decisione sulla individuata “provenienza illecita” delle utilità in esame, appurata con prove logiche (sentenza n. 20188/2015).
L’esistenza del reato presupposto è determinata non solo dalla mancata giustificazione del possesso di somme di denaro, ma dall’utilizzazione del capitale economicamente apprezzabile, con operazioni prive di senso dal punto di vista della gestione patrimoniale, rafforzando l’elemento dell’assenza di lecite fonti di reddito (sentenza n. 35763/2010).
Pertanto tutti gli illeciti da cui scaturiscono proventi suscettibili di valutazione economica, compresi gli illeciti fiscali, sono considerati “potenziali” reati presupposto di riciclaggio, infatti l’attuale normativa prevede che “qualsiasi reato in conseguenza del quale si formano proventi che possano diventare oggetto di uno dei reati definiti dall’art. 9 della presente convenzione”.
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