La Corte di Cassazione sezione tributaria con la sentenza n. 24367 depositata il 29 ottobre 2013 intervenendo in tema di accertamenti standardizzati ha statuito che è legittimo l’applicazione dell’accertamento induttivo, basato sugli studi di settore, per l’agente di commercio che non riesce a giustificare l’incongruenza rilevante tra i ricavi dichiarati e le risultanze dello standard applicato dall’Ufficio.
La vicenda ha avuto origine dalla notifica, ad un agente di commercio, di un avviso di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA 2004 per essersi discostato “parecchio” nell’indicazioni dei ricavi, relativamente alle provvigioni ricevute, dalle risultanze dello specifico studio di settore.
Avverso l’atto impositivo il contribuente propone ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che accoglieva le doglianze del ricorrente. L’Amministrazione Finanziaria impugna la sentenza del giudice di prime cure davanti alla Commissione Tributaria Regionale che conferma la sentenza di primo grado e rigettava il ricorso dell’Agenzia.
L’Ufficio impugnava la sentenza del giudice di merito dinanzi alla Corte Suprema per la sua cassazione, basando il ricorso u un unico motivo di censura.
Gli Ermellini accolgono la motivazione dell’Agenzia delle Entrate ritenendo che gli studi di settore, che costituivano sì prova presuntiva, ma senza che tuttavia l’ente impositore avesse tenuto conto “della particolare struttura organizzativa” nella quale il contribuente operava, né del fatto che la società del quale il medesimo era socio e subagente era uscita vittoriosa in un analogo contenzioso di accertamento per preteso maggior reddito.
Con la sentenza in commento, i giudici di legittimità, ribadiscono l’orientamento secondo cui, in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione Finanziaria può – ai sensi dell’articolo 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili “dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta”, sia sugli studi di settore, come nella fattispecie, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale del comparto merceologico, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti “sintomatici” per la ricostruzione del reddito del contribuente (cfr. Cass. n. 16430 del 2011).
Del resto in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’articolo 10 della Legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, come nel caso in esame, in cui comunque il divario con quanto indicato in dichiarazione era abbastanza rilevante (v. SS.UU. n. 26635 del 2009).
Nel caso di specie per la Corte Suprema i giudici della CTR è incorsa nel vizio di omessa o insufficiente motivazione non avendo specificato sulla base di quali elementi abbia ritenuto di poter condividere le giustificazioni offerte dal contribuente ai fini del superamento della presunzione di maggior reddito.
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