La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 24896 depositata il 17 settembre 2024, intervenendo in tema di superfice escluse dalla TARI, ha affermato il principio secondo cui ” è onere del contribuente provare, a fronte della pretesa impositiva dell’Amministrazione, che tali aree producono, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali[…] e solo all’esito di tale onere e in assenza di loro assimilazione a quelli urbani, spetta l’esenzione del pagamento della quota variabile della TARI“
La vicenda ha riguardato una società a cui veniva notificato avvisi di pagamento per il recupero della Tari . La società contribuente impugnava i suddetti atti. Il giudice tributario di primo grado ha ritenuto illegittimo gli atti impugnati. L’ente impositore impugnava la decisione. I giudici di secondo grado respingevano il ricoso, in particolare, osservavano che nel corso del giudizio di primo grado la società contribuente aveva documentalmente dimostrato che su gran parte delle aree occupate esistevano solo magazzini che producevano rifiuti speciali da imballaggi terziari, smaltiti in via autonoma dalla stessa a mezzo di un operatore specializzato, pagando direttamente il servizio in questione; – per contro, l’ente impositore. non aveva dimostrato il fondamento della pretesa impositiva. Avverso la decisione di appello l’ente impositore proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
I giudici di legittimità accolgono i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo motivo, cassano la sentenza impugnata e la rinviano.
Gli Ermellini evidenziano che “Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del cod. civ., che non siano detenute o occupate in via esclusiva.
La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. La riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera anche per quei particolari rifiuti speciali costituiti dagli imballaggi terziari (qui in considerazione), non assimilati né ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari. Si è in proposito più volte affermato (con riguardo tanto alla Tarsu quanto alle sue varianti Tia1 e Tares, assoggettate a linea normativa di continuità (vedi Sez. 5 – , Ordinanza n. 2372 del 27/01/2022, Rv. 663750 – 01) che agli imballaggi terziari (nonché agli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) si applica appunto la disciplina di cui all’art.62, terzo comma, cit., il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si producono i rifiuti speciali; per questa loro natura, gli imballaggi terziari non possono essere immessi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani (oggetto di privativa comunale) e devono essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati.
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina, sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; auto-smaltimento). In particolare, «In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e con riguardo all’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, in virtù del quale “nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali”, l’impresa contribuente ha l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, atteso che, pur operando anche nella materia in esame, per quanto riguarda il presupposto dell’occupazione di aree nel territorio comunale, il principio secondo cui spetta all’amministrazione l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia ex art. 70 del citato d.lgs. n. 507 del 1993) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, che integra un’eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale» (Sez. 5, Sentenza n. 16235 del 31/07/2015, Rv. 636107 – 01).”
Inoltre, chiariscono che l’esclusione riguarda solo la quota variabile della TARI e non anche la quota fissa precisando che “il tributo da applicarsi, ex art.1, commi da 641 a 649, l. n. 147 del 2013, a chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale- è strutturato in una parte variabile ed in una parte fissa, in modo che: – il presupposto impositivo della parte variabile della tariffa (sempre che sia stato istituito ed effettivamente svolto il servizio di raccolta e smaltimento) va individuato nella produzione di rifiuti urbani o assimilati, ferma restando la facoltà dei Comuni di prevedere una riduzione di questa parte variabile nel caso in cui il contribuente provi di smaltire in proprio, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati prodotti; per contro, la quota variabile della tariffa non è dovuta allorquando il contribuente provi di produrre in via prevalente e continuativa rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati, e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate; – la parte fissa della tariffa è invece dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività (dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività); si tratta di costi ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (Sez. 5 – , Ordinanza n. 5360 del 27/02/2020, Rv. 657343 – 01; vedi anche Sez. 5, del 15/05/ 2024 n. 13455).
(…) Infatti, per la quota fissa, il comma 649 dell’art. 1, n. 147 del 2013 deve essere letto unitamente al successivo comma 651, che richiama espressamente il d.P.R. 17 aprile 1999 n. 158, Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani (normativa tutt’ora in vigore). Ai costi di investimento generali per il servizio di smaltimento devono contribuire tutti (coloro che hanno immobili nel territorio interessato) a prescindere dallo smaltimento diretto di alcuni rifiuti.“