La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16695 del 03 luglio 2013 interviene in materia accertamento basato sul principio di economicità affermando che la società che versa in grave crisi economica può vendere sottocosto senza per questo incorrere nella rettifica dell’Iva da parte dell’ufficio che contesta un’operazione antieconomica.
La vicenda ha riguardato una piccola srl in grave crisi economica. A ridosso del fallimento aveva venduto dei beni fortemente sottocosto.
L’Agenzia delle Entrate aveva emesso e notificato un avviso di accertamento della maggiore imposta sostenendo che operava la presunzione di una parte di ricavo in nero in quanto l’operazione commerciale era fortemente antieconomica.
Contro l’atto impositivo la contribuente ha presentato ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale che accoglieva le doglianze del contribuente. L’Amministrazione finanziaria, avverso la sentenza, ricorreva alla Commissione Tributaria Regionale che riformava la sentenza di primo grado. A questo punto il legale rappresentante dell’azienda ha fatto ricorso in Cassazione e, questa volta, ha vinto.
Gli Ermellini condividendo i motivi presentati dalla difesa della contribuente, la sezione tributaria ha ricordato che in tema di accertamento dell’Iva, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del dpr n. 633 del 1972, per presumere l’esistenza di ricavi superiori a quelli contabilizzati ed assoggettati ad imposta non bastano semplici indizi, ma occorrono circostanze gravi, precise e concordanti, così come per le presunzioni semplici dispone l’art. 2729 cod. civ.». In questo caso, dice ancora la Cassazione, appare del tutto condivisibile l’orientamento secondo il quale in caso di fallimento altro è il prezzo che si può ricavare da un bene quando esso è immesso nel circuito di una impresa in attività, e altro è il prezzo dello stesso bene quando deve essere realizzato in un vendita fallimentare.
La sentenza in esame si incardina perfettamente nel filone giurisprudenziale che, alla fine dell’anno scorso, ha inaugurato la Suprema corte sancendo, con la sentenza n. 23351/2012, che la vendita sottocosto fra grossisti appartenenti al medesimo gruppo societario non può essere bollata dal fisco come elusione fiscale per il recupero delle imposte risparmiate. Infatti, l’operazione commerciale ha altri scopi e utilità oltre all’indebito risparmio fiscale.
Sul punto in quella sentenza veniva motivato che il giudice ha così correttamente escluso che nel trasferimento, per così dire «interno», della merce tra due società, entrambe residenti, facenti parte dello stesso gruppo e operanti nella stessa fase di commercializzazione («all’ingrosso») potesse farsi ricorso al criterio del «valore normale».
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