La Corte di Cassazione Civile a Sezioni Unite, con la sentenza n. 8053 del 7 Aprile 2014 è stata chiamata a chiarire la corretta applicazione dell’art. 360 n. 5) cod. proc. civ. in merito alla sindacabilità in sede di legittimità della decisione emesse dalla Commissione Tributaria Regionale in riferimento all’omesso esame di circostanza decisiva al fine della risoluzione della controversia.
L’articolo 360 n. 5 c.p.c., come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, testualmente recita che “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” introduce nel nostro ordinamento Italiano un vizio specifico. Per cui l’omesso esame di un fatto storico, sia esso principale oppure secondario, la cui sussistenza tuttavia emerga o dagli atti processuali o dalla sentenza stessa, ed il cui mancato esame abbia influito in modo deciso sull’adozione della decisione finale. Se tale fatto è stato oggetto di discussione tra le parti e, in astratto, possa rivestire carattere decisivo (sia potenzialmente idoneo cioè a garantire un risultato diverso all’intera controversia) allora è legittimo impugnare la decisione di merito innanzi alla Cassazione.
I predetti requisiti debbono sussistere tutti in contemporanea. I giudici di legittimità evidenziano come non sia sufficiente, al fine di ottenere un riscontro positivo dalla Cassazione, il mero mancato esame di generici fatti istruttori, non meglio specificati e non idonei ad incidere in modo specifico sulla risoluzione del processo.
Inoltre per la Corte Suprema l’onere della prova della decisività grava sul ricorrente, occorre pertanto che sia indicato il fatto storico, l’esame omesso, il dato fattuale o testuale da cui emerga con chiarezza l’influenza in corso di causa, l’avvenuta discussione delle parti sul punto; ma se, come nel caso di specie, dagli atti processuali emerge che i fatti contestati sono stati comunque presi in considerazione dal giudice del merito (nonostante la sentenza non abbia tenuto conto di tutte le risultanze probatorie) tanto basta per scongiurare la configurazione di un vizio tanto grave. A maggior ragione nel procedimento tributario, procedimento regolato in modo specifico.
Con la sentenza in commento la nuova versione del numero 5) dell’art. 360 Cod. Proc. Civ. comporta una ulteriore limitazione del sindacato del giudizio di merito da parte della Corte di Cassazione sugli elementi di merito della causa stabilendo che le pronunce di merito possono essere impugnate, a questo punto, per negligenza del giudice che non ha affrontato un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
La finalità della nuova versione della norma è quella di ridurre al minimo costituzionale il sindacato sulla motivazione della sentenza in sede di giudizio di legittimità, che potrà essere censurato solo quando si converte in violazione di legge e cioè nei soli casi di omissione di motivazione, motivazione apparente, manifesta e irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa o incomprensibile sempre che il vizio risulti dal testo della decisione, così come chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 5888/1992, che con riferimento al testo del n. 5) dell’art. 360 Cod. Proc. Civ. originariamente previsto dal codice di rito (oggi riproposto con la riforma del 2012) hanno chiarito che il vizio di motivazione si converte in violazione di legge solo quando il vizio sia così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132, n. 4) Cod. Proc. Civ. la “nullità” della sentenza per “mancanza della motivazione”.
In sostanza, a seguito delle modifiche apportate al codice di procedura civile il vizio della motivazione della sentenza è censurabile in Cassazione solo sotto il profilo della inesistenza, della manifesta e irriducibile contraddittorietà o della mera apparenza, solo se risulta dal testo della sentenza ed è tale da determinare la nullità (per mancanza di motivazione) della medesima sentenza, rimanendo, quindi, estranea al sindacato della Corte di Cassazione la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle “questioni di fatto”, la quale implichi un raffronto fra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice.
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