Già prima di prevedere questa vera e propria condizione di procedibilità, il legislatore aveva già predisposto diversi ed articolati strumenti per evitare processi aventi ad oggetto pretese fiscali (che hanno sempre un alto costo sociale), favorendo uno “sconto” al cittadino, in cambio dell’accettazione e del pagamento del tributo o della sanzione, ovvero rendendo appetibile la chiusura di una causa per il ricorrente.
Fra i principali strumenti di composizione delle controversie già sorte, esiste la conciliazione giudiziale, nelle sue due forme: quella “in udienza” e quella “fuori udienza”. In caso di conciliazione parziale, il processo tributario prosegue per le restanti questioni non conciliate.
Disciplinata dall’art. 48 del D.lgs 546/1992, la conciliazione giudiziale rappresenta lo strumento deflattivo per chiudere contenziosi già aperti, ed invogliare le parti a transigere rinunciando agli atti del processo tributario.
Essa si applica a tutte le controversie per le quali hanno giurisdizione le Commissioni tributarie provinciali, ma vi si può dar seguito, nei termini che ora vedremo, solo entro e non oltre la prima udienza.
La conciliazione giudiziale è il mezzo attraverso il quale si può chiudere un contenzioso aperto con il fisco.
Si applica a tutte le controversie per le quali hanno giurisdizione le Commissioni tributarie provinciali e non oltre la prima udienza.
Può essere proposta:
- dalla Commissione tributaria provinciale che, d’ufficio, può prospettare alle parti il tentativo di conciliazione;
- dalle parti stesse (contribuente, ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate, Ente locale, agente della riscossione).
Il tentativo di conciliazione fiscale comunque non è vincolante. Infatti, se il contribuente nel tentare l’accordo non lo raggiunge, può sempre proseguire con il contenzioso.
Come si svolge il procedimento
La conciliazione giudiziale può essere realizzata sia “in udienza” che “fuori udienza”.
La conciliazione fiscale fin udienza può essere avviata su iniziativa delle parti o dello stesso giudice. In particolare, si può verificare uno dei seguenti casi:
- il contribuente o l’ufficio, con una domanda di discussione in pubblica udienza depositata presso la segreteria della Commissione e notificata alla controparte entro i 10 giorni precedenti la trattazione, può chiedere di conciliare in tutto o in parte la controversia;
- l’ufficio, dopo la data di fissazione dell’udienza di trattazione e prima che questa si sia svolta, può depositare una proposta scritta già concordata con il ricorrente;
- il giudice tributario, con intervento autonomo, può invitare le parti a conciliare la controversia.
Se si raggiunge l’accordo, viene redatto un verbale, in udienza, contenente i termini della conciliazione e la liquidazione delle somme dovute.
La conciliazione fiscale fuori udienza viene formalmente avviata dopo che è intervenuto l’accordo tra l’ufficio e il contribuente sulle condizioni alle quali si può chiudere la controversia.
In questa ipotesi, lo stesso ufficio, prima della fissazione della data di trattazione, provvede a depositare presso la segreteria della Commissione una proposta di conciliazione con l’indicazione dei contenuti dell’accordo. Se l’accordo viene confermato, il Presidente della Commissione dichiara, con decreto, l’estinzione del giudizio.
Effetti della conciliazione fiscale
Per rendere appetibile la soluzione in esame, il legislatore ha disposto che:
– le spese del giudizio siano compensate;
– siano diminuite le pene per gli eventuali reati tributari (fino alla metà), sempre che la conciliazione avvenga prima dell’apertura del dibattimento nel relativo processo penale di primo grado;
– le sanzioni amministrative siano ridotte ad 40% delle somme irrogabili, in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione. Ad ogni modo non si può scendere oltre la soglia del 40% dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.
Come versare le somme dovute
Il versamento delle somme dovute per la conciliazione delle controversie tributarie deve essere effettuato:
- con modello F24 per le imposte dirette, per l’Irap, per le imposte sostitutive e per l’Iva;
- con modello F23 per le altre imposte indirette.
Nei suddetti modelli di pagamento devono essere indicati gli appositi codici tributo reperibili sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate, nonché il codice atto relativo all’istituto conciliativo a cui si è aderito.
Per le imposte dirette, l’Irap, le imposte sostitutive e l’Iva è consentito effettuare, mediante il modello F24, la compensazione di tutte le somme dovute per effetto della conciliazione giudiziale con i crediti d’imposta spettanti dal contribuente.
Non è possibile compensare, invece, le imposte dovute per effetto della conciliazione giudiziale che si versano con il modello F23.
Il pagamento va fatto:
- in unica soluzione, entro 20 giorni dalla data del verbale (conciliazione in udienza) o della comunicazione del decreto del Presidente della Commissione (conciliazione fuori udienza);
- in forma rateale, in un massimo di 8 rate trimestrali di uguale importo, o in un massimo di 12 rate trimestrali, se le somme dovute superano 51.645,69 euro.
La prima delle rate deve essere versata entro il termine di 20 giorni dalla data del processo verbale o della comunicazione del decreto presidenziale.
Gli interessi sulle rate sono calcolati dal giorno successivo a quello del processo verbale di conciliazione o a quello di comunicazione del decreto di estinzione del giudizio, e fino alla scadenza di ciascuna rata.
Il contribuente deve consegnare all’ufficio una copia dell’attestazione del versamento accompagnata.
Il mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta l’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 471/1997, applicata in misura doppia (60%), sul residuo importo dovuto a titolo di tributo.
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