Nella predisposizione del bilancio d’esercizio le componenti (le rimanenze in particolar modo) relative ai lavori in corso di esecuzione alla fine dell’esercizio, rappresenta certamente una tra le problematiche più analizzate nella formazione del bilancio e nella determinazione della fiscalità correlata al risultato d’esercizio, e ciò in considerazione della diffusione delle imprese che prestano servizi sulla base di contratti di appalto o di opera. Risulta del tutto normale che nella maggior parte dei casi le imprese, che hanno contratti di appalti, non avranno completato le prestazioni commissionate entro la data di fine esercizio e quindi si pone il problema di come valutare le stesse prestazioni maturate al 31 dicembre. Inoltre risulta chiara che probabilmente che siano stati liquidati corrispettivi in funzione della prestazione maturata: in questi casi va valutato se la liquidazione debba considerarsi alla stregua di un ricavo maturato a titolo definitivo oppure, al contrario, se si tratta di un mero acconto. Dopo queste brevi considerazioni sui criteri da adottare nella valutazione dei lavori in corso di esecuzione, in questo articolo approfondiremo sulle conseguenze che scaturiscono dalla diversa qualificazione delle somme derivanti dalla esecuzione dei relativi contratti.
Criteri di valutazione delle rimanenze
I possibili criteri per la valutazione delle rimanenze relativa alle opere in corso di esecuzione sono sostanzialmente due:
1) quello della percentuale di completamento;
2) quello della commessa completata.
Il metodo della percentuale di completamento consiste nel valorizzare i lavori in proporzione del loro stato di avanzamento, determinato attraverso una delle tecniche empiriche indicate nel paragrafo D.II del Principio Contabile nazionale n. 23 (e più precisamente, cost to cost, ore lavorate, unità consegnate o misurazioni fisiche). Con l’utilizzo di questo criterio in ogni esercizio viene imputato non solo il costo di commessa ma anche il ricavo maturato, così che il reddito dell’intera commessa venga frazionato nei singoli esercizi di esecuzione delle opere. I corrispettivi pattuiti col committente pur se non ancora liquidati in via definitiva, comprensivi delle maggiorazioni per la revisione del prezzo, rappresentano le rimanenze finali che controbilanciano i costi sostenuti nell’esercizio: nel valore delle rimanenze sarà compresa anche la quota parte dell’utile sperato, imputabile a ciascuno degli esercizi compresi nel periodo di durata dell’esecuzione ultra-annuale. Laddove, invece, la liquidazione del corrispettivo sia da considerarsi definitiva, dopo l’accettazione da parte del cliente dell’intera prestazione o di parte di essa, le opere in corso andranno iscritte nel conto economico come ricavi. I costi di commessa comprendono sia i costi diretti sia i costi indiretti, con esclusione delle spese generali di natura amministrativa o commerciale.
Il metodo della commessa, definito anche del criterio del costo, stabilisce che in ogni esercizio sia rilevato solo il costo di commessa, con l’imputazione dell’intero margine nell’esercizio in cui il contratto è completato. In questo modo, mentre i costi sostenuti per la realizzazione della commessa vengono ripartiti nei diversi esercizi necessari al compimento dei lavori, i ricavi sono evidenziati in un solo esercizio, cioè quello in cui avviene la consegna delle opere o l’ultimazione dei servizi e delle forniture. La valutazione delle rimanenze per opere eseguite, ma non ancora completate, avviene quindi al loro costo di produzione. Il Principio Contabile nazionale n. 23 (paragrafo C.III) esprime una preferenza per la valutazione al criterio della percentuale di completamento, che meglio realizza il principio della competenza economica. Il predetto criterio della commessa completata dovrebbe essere applicato nei soli casi di commesse infra-annuali a breve termine, per le quali gli effetti distorsivi prodottisi sul bilancio appaiono di minore entità. Tuttavia, anche per i contratti per i quali vi siano le condizioni per adottare il criterio della percentuale di completamento è comunque accettabile il criterio della commessa completata, purché l’impresa evidenzi nelle note esplicative del bilancio (nota integrativa), quali dati ulteriori, i ricavi, i costi e gli effetti sul risultato d’esercizio e sul patrimonio netto che si sarebbero avuti se l’azienda avesse adottato il criterio della percentuale di completamento. Al contrario, i Principi Contabili internazionali (IAS 11, punto 25) sono sulla questione alquanto rigidi nell’indicare quale valido il solo criterio della percentuale di completamento, non fornendo indicazioni circa gli altri criteri utilizzabili per la contabilizzazione delle commesse a lungo termine.
Riepiloghiamo brevemente:
Percentuale di completamento Metodo valutativo per determinare l’ammontare delle rimanenze di opere e servizi in corso di esecuzione al 31 dicembre di ogni esercizio. Consiste nello stimare il margine della commessa maturato in ciascun singolo esercizio. È consigliato nelle commesse di lunga durata.
Commessa completata Metodo valutativo con il quale la rimanenza di opere in corso viene valutata in base ai costi sostenuti nell’esercizio, rimandando la rilevazione dell’intero margine di commessa all’esercizio in cui l’opera è ultimata. È consigliabile per commesse di breve durata.
Consegna a partite In un contratto di appalto è possibile frazionare la consegna dell’opera in singole partite ciascuna della quali viene liquidata dal committente. Se il pagamento è avvenuto senza riserva la singola partita è accettata, mentre se il committente si riserva di verificare l’opera al momento della sua conclusione il pagamento della singola partita avrà solo la funzione di acconto finanziario.
Cost to cost È il metodo consigliato dal Principio Contabile OIC 23 per determinare il margine di commessa maturato in un esercizio. Consiste nel determinare l’incidenza dei costi effettivamente sostenuti in un singolo esercizio rispetto ai costi stimati per l’intera commessa, e poi applicare la percentuale ottenuta sul totale dei ricavi pattuiti determinando così il valore delle rimanenze dello stesso singolo esercizio.
Metodo: percentuale di completamento secondo le indicazioni dell’OIC pc n. 23
La valutazione delle rimanenze di opere e servizi in corso di esecuzione in base al criterio delle percentuale di completamento deve risolvere il problema di come determinare il margine di commessa maturato alla fine di ciascun esercizio. A tale riguardo il Principio Contabile OIC 23 propone diverse soluzione a partire dal già richiamato metodo cosiddetto «Cost to Cost». L’applicazione di tale metodo è di immediata comprensione: si quantificano i costi effettivamente sostenuti in un dato esercizio e si confrontano con i costi stimati per eseguire l’intera commessa. Il risultato ottenuto, in termini di percentuale di incidenza, viene poi applicato ai ricavi totali pattuiti per l’esecuzione dell’intera commessa, ottenendo così il valore ragionevolmente maturato in un singolo esercizio.
Elaboriamo un esempio
Se i ricavi di una commessa di durata pari quattro anni, iniziata nel 2012, fossero pattuiti in euro 800.000 ed i costi stimati totali fossero euro 600.000, e nell’esercizio 2012 fossero stati sostenuti costi effettivi per euro 120.000, avremmo una percentuale di incidenza del 20%, che applicata sui ricavi stimati porterebbe a determinare rimanenze finali di opere in corso di esecuzione per euro 160.000.
Gli altri metodi suggeriti dal Principio Contabile OIC 23 sono i seguenti:
metodo delle ore lavorate: questo metodo presuppone che l’opera venga divisa tra costi dei materiali e altri costi diretti esclusa la manodopera, e valore aggiunto complessivo. In pratica le rimanenze finali di un periodo saranno la somma dei costi effettivamente sostenuti a cui aggiungere il valore aggiunto calcolato moltiplicando le ore lavorate per il valore aggiunto orario. Il metodo viene consigliato per le opere in cui la componente lavoro sia preminente rispetto ai materiali;
metodo delle unità consegnate: con questo metodo oggetto di valutazione ai prezzi contrattuali sono solo le unità di prodotto consegnate (o anche solo accettate), mentre i prodotti in corso di lavorazione o finiti ma non consegnati (o accettati) sono valutati al costo di produzione e sono quindi classificati come rimanenze di magazzino;
metodo della misurazione fisica: con questo metodo si procede alla rilevazione delle quantità prodotte (in numero di unità prodotte, in dimensione delle opere eseguite, in durata delle lavorazioni eseguite, ecc.) ed alla valutazione delle stesse ai prezzi contrattuali, comprensivi dei compensi per revisioni prezzi e degli eventuali altri compensi aggiuntivi.
La «natura» dei pagamenti provvisori
Nel processo di valutazione delle opere in corso di esecuzione e della loro corretta rappresentazione in bilancio, nonché della loro qualificazione ai fini fiscali, risulta essenziale individuare la natura delle somme che vengono corrisposte durante l’esecuzione del contratto:
- se le somme percepite si configurano come acconti occorre rilevare le rimanenze di opere in corso di esecuzione e predisporre un prospetto, suddiviso per ogni singola commessa, così come richiesto dall’art. 93, comma 6 del T.U.I.R.;
- se si tratta di opere ultra-annuali (per tali si intendono quelle a cavallo dell’esercizio e di durata complessiva superiore a dodici mesi), la valutazione delle rimanenze, dal punto di vista fiscale, avviene obbligatoriamente al corrispettivo maturato, e tale sarebbe anche l’impatto sull’imponibile della contabilizzazione come ricavo, ma se si tratta di opere infra-annuali un errore di qualificazione tra ricavi e acconti comporterebbe ripercussioni anche sull’imponibile fiscale, atteso che le rimanenze di opere e servizi in corso di esecuzione di carattere infra-annuale vanno valutate al costo e non al corrispettivo maturato. Tale problema emerge quando per un certo contratto d’appalto sono liquidati Stati di Avanzamento Lavori (SAL), poiché in assenza di SAL le opere in corso non possono che essere inserite tra le rimanenze alla voce A3 del Conto Economico. L’art. 93, comma 4 del T.U.I.R. si limita ad affermare che i corrispettivo liquidati a titolo definitivo sono compresi tra i ricavi, ma senza aggiungere delucidazioni sulle condizioni, avveratesi le quali deve intendersi definitiva la liquidazione di una certa somma. Al riguardo va ricordato che in base all’art. 1666 c.c. il contratto di appalto può essere suddiviso a «partite» ed è previsto che il pagamento della singola partita comporti accettazione della parte di opera consegnata, il che porterebbe a riconoscere il carattere di definitività del pagamento, che ai fini fiscali qualificherebbe il ricavo. Sennonché la stessa disposizione dell’art. 1666 c.c. aggiunge che il pagamento di un acconto non produce gli effetti di accettazione della partita consegnata, il che fa rinascere il problema della separazione tra acconti e somme liquidate a titolo definitivo, cioè ricavi. Sul punto è di fondamentale aiuto la R.M. n. 260/E/09 che in merito alla questione delle definitività o meno dei corrispettivi liquidati ha affermato: «Ai sensi del comma 4 dell’art. 93 del T.U.I.R., infatti, la valorizzazione della parte di opera compiuta tra le “rimanenze” ovvero tra i “ricavi” si basa sulla definitività della liquidazione dei corrispettivi stessi. Definitività che non può prescindere dalla avvenuta produzione degli effetti giuridici dell’accettazione relativi al passaggio della proprietà o del rischio». Sulla base della richiamata interpretazione, quindi, gli effetti giuridici sono da intendersi come accettazione della singola partita che determina il trasferimento del rischio di deperimento dell’opera al committente, oltre all’impossibilità di contestare l’esecuzione dell’opera per la parte effettivamente consegnata ed accettata. Pertanto, va considerato come elemento centrale per la separazione tra ricavi e rimanenze il contenuto del contratto di appalto:
- se niente viene indicato nel contratto deve intendersi che la consegna della singola partita, pagata dal committente, ne comporti l’accettazione da cui deriva la definitività del corrispettivo e quindi la qualificazione di ricavo;
- se accade il contrario, circostanza molto più frequente per ovvi motivi di tutela del committente che vorrà verificare l’opera una volta che essa sia conclusa, allora il pagamento del SAL non può che configurarsi come acconto. Tale ultima configurazione determina che la somma incassata per il SAL venga inserita tra le passività dello Stato Patrimoniale dell’appaltatore, con il conseguente obbligo di valutazione delle rimanenze di opere e servizi in corso di esecuzione e il correlato adempimento di redazione del prospetto di cui all’art. 93, comma 6 del T.U.I.R. Sebbene il concetto di definitività del corrispettivo quale discrimine tra ricavi e rimanenze sia inserito solo nell’art. 93, comma 4 del T.U.I.R. (opere ultra-annuali), si ritiene che analoga regola debba essere applicata anche in merito all’art. 92, comma 6 del T.U.I.R. (opere infra-annuali), nel senso che anche in quest’ultimo caso possono manifestarsi erogazioni di SAL qualificabili sia come acconti, sia come ricavi. La vera differenza tra le due fattispecie, cioè art. 92, comma 5 e art. 93 del T.U.I.R., è la valorizzazione delle rimanenze che avviene obbligatoriamente al corrispettivo maturato per le opere ultra-annuali ed al costo per quelle infra-annuali. Va aggiunto, infine, che sempre riferendosi alla R.M. n. 260/E/09, la qualificazione della somma incassata tra acconto e ricavo è più agevole se il contratto d’appalto prevede l’istituto della «ritenuta di garanzia», cioè la trattenuta di una somma percentuale sulla liquidazione del SAL, a tutela della corretta esecuzione globale dell’opera, trattenuta che viene restituita all’appaltatore se, ed in quanto, l’opera ultimata sia positivamente verificata dal committente. In questi casi il fatto stesso che sia operata la ritenuta di garanzia dimostra la volontà del committente di non esprimere la propria accettazione della partita consegnata, e ciò comporta che la somma sia da qualificare come acconto con il conseguente obbligo di valorizzare le rimanenze di opere in corso per la parte maturata a fine esercizio.
Il problema delle maggiorazioni contrattuali
Durante l’esecuzione di una opera può porsi il problema della revisione del corrispettivo provocata da prestazioni aggiuntive dell’appaltatore previste in linea generale nel contratto di appalto o, se non previste, concordate formalmente con il committente. Nella descritta ipotesi si afferma che la fonte giuridica che legittima il corrispettivo è il contratto. Una seconda fattispecie è rappresentata da prestazioni aggiuntive che si rendono necessarie per il compimento dell’opera e ciò a prescindere dall’accettazione da parte del committente. Tali ultime maggiorazioni trovano la fonte dell’obbligazione nella legge. Un terzo caso è rappresentato dalle prestazioni eseguite dall’appaltatore senza alcuna autorizzazione del committente, prestazione non essenziale per la realizzazione dell’opera. Quest’ultima ipotesi rientra tra le maggiorazioni che rappresentano solo una richiesta dell’appaltatore senza una precedente fonte che la legittima. Sotto il profilo contabile, secondo quanto precisato dal Principio contabile OIC 23 (paragrafo F), quando la maggiorazione è ragionevolmente certa, in quanto trova fondamento nel contratto (o nella legge), il corrispettivo va rilevato quale ricavo aggiuntivo oppure quale rimanenza di opere in corso se non vi è stata la liquidazione definitiva dello stato di avanzamento. Diversa, invece, è l’ipotesi delle maggiorazioni unilateralmente richieste dall’appaltatore (cosiddetti «claims») che sono caratterizzate da notevole incertezza e spesso si risolvono in lunghi e complessi arbitrati. In tale caso non è possibile generare componenti positivi di reddito per ricavi che non sono realizzati.
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