Con il D.Lgs. n.192/2012 si sono introdotte nuove disposizioni nel D.Lgs n.231/2002, stabilendo: che dal 1° gennaio 2013 viene considerato iniquo, quindi nullo, l’accordo tra creditore e debitore che esclude a priori la loro applicazione. Ciò si rifletterà sul bilancio 2013, da approvare nel 2014, ma già da oggi il contribuente dovrà monitorare i termini di scadenza di incassi e pagamenti per contabilizzare correttamente gli interessi di mora, che ai fini civilistici seguono il principio di competenza e ai fini fiscali il principio di cassa.
Gli interessi di mora maturano automaticamente – Il D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, ha introdotto l’automatico decorso degli interessi di mora, nel caso in cui il debitore, alla scadenza prestabilita, non provveda al versamento dell’importo dovuto. Tale automatismo riguarda in particolare i contratti stipulati in data successiva all’8 agosto 2002 tra: imprese/professionisti e tra imprese/professionisti e pubbliche amministrazioni.
I contratti stipulati in data antecedente l’8 agosto 2002 restano invece assoggettati alle previgenti disposizioni, che prevedono la necessità, per il creditore, di procedere alla costituzione in mora del debitore tramite lettera raccomandata o altro atto di intimidazione al pagamento, contenente l’invito ad adempiere entro un congruo termine.
La maturazione automatica degli interessi di mora decorre dal giorno successivo a quello stabilito dalle parti per il pagamento, senza alcuna necessità, da parte del creditore, di provvedere alla costituzione in mora del debitore.
Il principio di competenza civilistico – Il D.Lgs. n.192/2012 introduce nuovi disposizioni nel D.Lgs n.231/2002, stabilendo che dal 1° gennaio 2013 viene considerato gravemente iniquo, quindi nullo, l’accordo tra creditore e debitore che esclude a priori la loro applicazione.
Ciò si rifletterà sul bilancio 2013, da approvare nel 2014, ma già da oggi il contribuente dovrà monitorare i termini di scadenza di incassi e pagamenti per contabilizzare correttamente gli interessi di mora, che ai fini civilistici seguono il principio di competenza.
Dal lato del creditore – Quando un credito non viene incassato alla scadenza (pattuita o prevista dall’art.4 del D.Lgs. n. 231/2002), il creditore deve contabilizzare gli interessi moratori che maturano nell’esercizio alla voce C16) del Conto economico, come anche chiarito dalla bozza di revisione dell’Oic 15.
Tale principio contabile, anche se non definitivo, stabilisce che, se l’incasso del credito riferito agli interessi di mora maturati automaticamente, è dubbio, è necessario stanziare al fondo svalutazione crediti un ammontare congruo con la possibilità di recupero.
Il creditore deve quindi, soprattutto in occasione delle stime al 31.12., fare una valutazione reale ma prudente di tutti gli interessi maturati, per individuare quelli esigibili.
Se successivamente la svalutazione si rivelasse non congrua, verrà contabilizzata una sopravvenienza attiva che neutralizzi la parte di fondo eccedente.
Dal lato del debitore – Dal punto di vista del debitore vale il principio di competenza, coordinato con quello di prudenza che prescrive la contabilizzazione di perdite anche solo presunte.
A prescindere dalla convinzione del debitore di non riuscire a pagare al creditore gli interessi di mora, va rilevato l’onere finanziario, alla voce C.17) del Conto Economico, a partire dalla scadenza dei termini per il pagamento previsti dal decreto 231 o pattuiti fra le parti.
L’Oic 19 chiarisce, infatti, che per i contratti che prevedono il pagamento di interessi passivi se si verificano determinate condizioni o eventi, questi interessi sono stanziati in bilancio “solo quando il loro pagamento diventa probabile”.
Gli interessi di mora automatici andrebbero contabilizzati per competenza, dato che il creditore ha diritto a riscuoterli, anche se esistono, fra le parti, accordi che prevedono scadenze o saggio d’interesse diversi.
Il principio di cassa fiscale – L’articolo 109, comma 7, dispone espressamente, che per gli interessi di mora si applica, dal punto di vista fiscale, il principio di cassa, in deroga al principio di competenza.
Cioè il creditore imputa al proprio reddito fiscale gli interessi di mora nell’esercizio in cui li percepisce; il debitore li porta in deduzione nell’esercizio di corresponsione (principio di cassa).
Di conseguenza, il creditore deve rilevare un provento finanziario, mentre il debitore, al contrario, contabilizza un onere finanziario. Se, però, il credito stanziato a fronte del provento finanziario è, in tutto o in parte, di dubbio incasso, il creditore deve anche accendere un fondo di svalutazione, come chiariscono i principi contabili nazionali.
Dato che gli interessi di mora devono essere contabilizzati civilisticamente per competenza, è evidente che sarà necessario predisporre delle schede di raccordo. Infatti, nell’esercizio in cui gli interessi vengono rilevati a conto economico come provento finanziario dal creditore, sarà necessario effettuare una variazione in diminuzione in sede di dichiarazione dei redditi per l’importo corrispondente al credito non incassato.
Se il creditore ha stanziato anche un accantonamento volto alla svalutazione, in tutto o in parte, di questi crediti, sarà necessario riprendere a tassazione l’accantonamento tramite una variazione in aumento.
Va sottolineato il fatto che la disciplina sulla deducibilità degli interessi passivi in generale è contenuta nell’art. 96 del TUIR. Ciononostante, è da ritenersi che le specifiche disposizioni dell’art. 109, comma 7, TUIR, rappresentino una disciplina autonoma e indipendente e che, pertanto, per gli interessi di mora, non trovi applicazione l’art. 96, TUIR.
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