CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 4232 del 3 marzo 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – PRIVAZIONE DELLE MANSIONI – TRASFERIMENTO – MANCATA PARTECIPAZIONE A SELEZIONE PER PROGRESSIONE DI CARRIERA – RISARCIMENTO DEL DANNO ALLA PROFESSIONALITA’
Fatto
Con sentenza 26 novembre 2010, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello di S. Invest Sim s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva accertato, in accoglimento della domanda di R.D.M. (agente per la promozione e la collocazione fuori sede di prodotti finanziari e responsabile di area dei promotori finanziari per Lazio, Abruzzo e Sardegna), l’inesistenza di giusta causa del recesso intimatogli il 28 gennaio 2002 dalla società mandante, odierna appellante e condannato la stessa al pagamento, in suo favore, delle indennità sostitutive del preavviso e di clientela e delle provvigioni dei mesi di dicembre 2001 e gennaio 2002, per la complessiva somma di € 690.661,22, rigettandone la domanda riconvenzionale di accertamento dell’attività illecita del predetto di storno degli agenti e di risarcimento del danno.
A motivo della decisione, la Corte territoriale condivideva le valutazioni del primo giudice in ordine all’inidoneità ad integrare giusta causa di recesso, per non particolare gravità tenuto conto delle circostanze di loro maturazione, degli addebiti (di mancata predisposizione dell’organigramma di rete dell’anno 2002 e di formulazione di pesanti apprezzamenti sulla mandante in alcune riunioni aziendali) mossi a R.D.M. da S. Invest Sim s.p.a. con lettera 28 gennaio 2002, non integrabili da quello successivo (per l’applicabilità anche al rapporto di agenzia del principio di immediatezza ed immutabilità della contestazione, non articolabile in progress né in via allusiva, in difetto di alcuno specifico riferimento ad esso nella lettera) di storno di dipendenti: peraltro neppure ravvisabile, alla luce dell’approfondito scrutinio dei capitoli di prova orale dedotti, di cui ribadiva l’inammissibilità, per genericità e tenore valutativo di formulazione (in larga parte) o per irrilevanza (nella residua). In esito al critico percorso argomentativo svolto, la Corte capitolina confermava pertanto le statuizioni del Tribunale anche in merito alle pronunce di condanna alle indennità ed alle provvigioni spettanti, congruamente liquidate in via equitativa ai sensi dell’art. 432 c.p.c., ben applicabile al rapporto di parasubordinazione in oggetto. Con atto notificato il 25 novembre 2011, S. Invest Sim s.p.a. ricorre per cassazione con otto motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste R.D.M. con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. in riferimento all’art. 1750 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea limitazione dei fatti integranti la giusta causa del recesso intimato a quelli contestati con la lettera 28 gennaio 2002, senza valutazione a tali fini dello storno di agenti addebitato in sede di giudizio, in assenza di un principio di necessaria completezza, né tanto meno di immediatezza della contestazione, previsto soltanto nel rapporto di lavoro subordinato in riferimento al procedimento disciplinare (art. 7 L. 300/1970) e pertanto non estensibile al rapporto di agenzia.
Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 1750 c.c., anche in riferimento agli artt. 1362, 1363, 1375 c.c. e 7 L. 300/1970 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea assunzione dell’esistenza di un principio di immutabilità della contestazione, non formulabile in progress né in relazione a fatti ulteriori, dovendosi comunque intendere il successivo addebito di storno di agenti, peraltro esattamente conosciuto nella sua complessa articolazione soltanto dopo la comunicazione del recesso (come documentato dalla prodotta dichiarazione scritta dell’Area manager M.M. del 23 dicembre 2002, integralmente trascritta), come già chiaramente contenuto nell’inciso finale della lettera 28 gennaio 2002, secondo i canoni rmeneutici denunciati, applicabili anche agli atti unilaterali, quale il recesso.
Con il terzo, la ricorrente deduce vizio di carente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per la non ravvisata qualificabilità come fatti confermativi, pure astrattamente rilevanti, di quelli dedotti in giudizio rispetto a quelli contestati con la lettera di recesso, anche in riferimento alla ritenuta affinità alla fattispecie di altra, relativa a licenziamento di dirigente, in cui ritenuta ammissibile dalla Corte regolatrice la valutazione dei fatti confermativi.
Con il quarto, la ricorrente deduce vizio di carente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. sulla mancata ammissione dei capitoli da 4) a 7), 10), 11), 37).
Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. anche in riferimento agli artt. 421, secondo comma e 437, secondo comma c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea esclusione dell’acquisizione di prove ritualmente assunte in altro giudizio (prove atipiche, legittimamente concorrenti alla formazione del convincimento del giudice), a fronte della mancata ammissione di prove dirette, in assenza di alcun principio preclusivo, godendo anzi il giudice del lavoro di un potere di ammissione officiosa di prove.
Con il sesto, la ricorrente deduce vizio di carente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. sulla idoneità dei fatti (di mancata predisposizione dell’organigramma di rete dell’anno 2002 e di formulazione di pesanti apprezzamenti sulla mandante in alcune riunioni aziendali) addebitati a D.M. all’integrazione di una giusta causa di recesso, oggetto dei Capitoli 49), 54) e 58), per omessa considerazione dei gravi obblighi di comportamento del predetto, in relazione alla posizione di responsabilità ricoperta nell’azienda, con diffuso richiamo in proposito delle deduzioni svolte nella comparsa di costituzione in primo grado, ignorate dalla Corte territoriale.
Con il settimo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. in riferimento agli artt. 1742, 1750 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea individuazione del concetto normativo di giusta causa, sulla base del recesso dell’agente e non del preponente per inadempimento dell’agente, come nel caso di specie, comportante la legittimità del recesso anche per un fatto di minore consistenza, per la maggiore intensità del rapporto fiduciario rispetto al rapporto di lavoro subordinato.
Con l’ottavo, la ricorrente deduce vizio di carente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. sull’attività di proselitismo di R.D.M. nei confronti dei promotori finanziari di S. Invest Sim s.p.a. per il passaggio alla concorrente Banca della Rete e sulle ragioni del loro esodo, in riferimento alle richiamate sentenze (del Tribunale di Ravenna e soprattutto del Tribunale di Roma) di accertamento della pretestuosità del recesso per giusta causa dei promotori della banca, transfughi alla Banca della Rete.
Per una più ordinata ed organica trattazione delle questioni devolute, appare opportuno avviare l’esame dal settimo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. in riferimento agli artt. 1742, 1750 c.c., per erronea individuazione del concetto normativo di giusta causa nel rapporto di agenzia.
Esso è infondato.
La Corte territoriale ha, infatti, esattamente applicato (ancorché con erroneo riferimento all’inadempimento, colpevole e non di scarsa importanza, del preponente, senza tuttavia alcuna deviazione giuridicamente rilevante dai principi regolanti la materia) la locuzione normativa di giusta causa, in tema di contratto di agenzia, giustificante lo scioglimento del rapporto soltanto quando l’inadempimento imputabile all’agente sia di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (Cass. 25 luglio 2008, n. 20497; Cass. 17 aprile 2012, n. 6008). E ciò ha fatto in esito ad una compiuta ed argomentata valutazione (in particolare dal quarto capoverso di pg. 7 al secondo capoverso di pg. 8 della sentenza) del comportamento contestato all’agente, escludendo appunto la ricorrenza di una giusta causa, fornendone adeguata e logica motivazione e pertanto con accertamento rimesso al giudice di merito incensurabile in sede di legittimità (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3869). Neppure, infine, si configura la violazione di legge denunciata in difetto dei suoi presupposti: non avendo il ricorrente proceduto, come pure avrebbe dovuto, ad una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, né alla sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa (Cass. 28 novembre 2007, n. 24756); involgendo piuttosto il mezzo un’inammissibile valutazione nel merito, di pertinenza esclusiva del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, per l’adeguata e logica motivazione resa (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3869), sopra richiamata. Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica, per il suo riferimento all’attività di storno di dipendenti, costituente addebito contestato successivamente alla lettera di recesso, la cui positiva ricorrenza direttamente incidente sulla rilevanza dei primi tre motivi (riguardanti sotto i rispettivi profili illustrati l’ammissibilità di una contestazione anche di fatti ulteriori, rispetto a quelli originari, a fini di giusta causa di recesso nel rapporto di agenzia), anche secondo il principio della ragione “più liquida” (Cass. 17 marzo 2015, n. 5264; Cass. s.u. 12 dicembre 2014, n. 26242), occorre procedere ora all’esame dall’ottavo motivo, relativo a carente motivazione sull’attività di proselitismo di R.D.M. nei confronti dei promotori finanziari di S. Invest Sim s.p.a., per il passaggio alla concorrente Banca della Rete e alle ragioni del loro esodo.
Esso è inammissibile.
Il mezzo risulta, infatti, generico in difetto di un’idonea né puntuale confutazione, in violazione della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202) della decisiva (tale definita dalla stessa Corte territoriale: “Soprattutto risulta decisiva la considerazione che … “) argomentazione, secondo cui “le deduzioni dell’appellante valutate nel loro complesso sono insufficienti ad identificare nella posizione del D.M. un ruolo di effettiva interferenza nelle scelte dei dimissionari, essendo piuttosto indirizzate le suddette deduzioni verso la figura del responsabile apicale M.I. e non rinvenendosi in esse concreti indizi di una partecipazione fattiva dello stesso D.M. al piano di scalata dell’I. od al piano del medesimo di dirottare i promotori finanziari alla banca concorrente” (così testualmente, comprese le sottolineature, al quinto capoverso di pg. 8 della sentenza): avendo, infatti, la ricorrente sostanzialmente riproposto le argomentazioni del proprio ricorso in appello (al p.to 8.3, da pg. 80 a pg. 88 del ricorso), evidentemente anteriori alla sentenza impugnata.
D’altro canto, il ragionamento argomentativo della Corte capitolina si fonda su un’attenta valutazione probatoria insindacabile in sede di legittimità (Cass. 6 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412), in quanto correttamente e logicamente motivata.
I primi tre motivi (rispettivamente relativi a: violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. in riferimento all’art. 1750 c.c., per erronea limitazione dei fatti integranti la giusta causa del recesso intimato a quelli contestati con la lettera 28 gennaio 2002: il primo; violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 1750 c.c., anche in riferimento agli artt. 1362, 1363, 1375 c.c. e 7 L. 300/1970, per erronea assunzione dell’esistenza di un principio di immutabilità della contestazione, non formulabile in progress né in relazione a fatti ulteriori: il secondo; carente e contraddittoria motivazione, per la non ravvisata qualificabilità come fatti confermativi di quelli dedotti in giudizio rispetto a quelli contestati con la lettera di recesso: il terzo), congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, rimangono assorbiti. La questione con essi devoluta diviene infatti irrilevante, a fronte della formazione di giudicato (per inammissibilità del motivo sopra esaminato) sull’insussistenza di una condotta di storno di agenti da parte di R.D.M.
Il quarto motivo, relativo a carente motivazione sulla mancata ammissione dei capitoli da 4) a 7), 10), 11), 37), è inammissibile.
L’apprezzamento in fatto e la valutazione probatoria operati dalla Corte territoriale, in modo implicito sui capitoli da 4) a 7), relativi a circostanze di fatto né contestate né decisive ed invece con esplicita argomentazione sui capitoli 10), 11), 37) (per le ragioni esposte al quarto capoverso di pg. 5 della sentenza), sono di esclusiva competenza del giudice di merito in difetto di vizi logici né giuridici e pertanto insindacabili in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412).
Il quinto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. anche in riferimento agli artt. 421, secondo comma e 437, secondo comma c.p.c., per erronea esclusione dell’acquisizione di prove ritualmente assunte in altro giudizio, è pure inammissibile.
Esso viola il principio di autosufficienza del ricorso, previsto dall’art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c., difettando della specifica indicazione e tanto meno della trascrizione delle prove formatesi in altro giudizio e di cui richiesta l’acquisizione (Cass. 29 marzo 2007, n. 7767; Cass. 6 novembre 2006, n. 23673; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48). Ed è comunque infondato, per il chiaro e non idoneamente contestato riferimento espresso della Corte territoriale alla non consentita introduzione “nel medesimo giudizio, per via traversa” del “le medesime circostanze, attraverso prove raccolte in altro procedimento …” (così al primo capoverso di pg. 7 della sentenza).
Il sesto motivo, relativo a carente motivazione sulla idoneità dei fatti addebitati a D.M. all’integrazione di una giusta causa di recesso, oggetto dei capitoli 49), 54) e 58), è parimenti inammissibile.
Anche qui occorre ribadire come l’apprezzamento in fatto e la valutazione probatoria correttamente operati dalla Corte territoriale, con motivazione logica e congrua (per le ragioni esposte a pg. 6 della sentenza), siano di esclusiva competenza del giudice di merito e pertanto, in difetto di vizi logici né giuridici, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412). Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente la reiezione del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna S. Invest Sim s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi ed € 10.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
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