CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 26034 depositata il 24 settembre 2025

Lavoro – Posizione previdenziale – Genuinità del rapporto di lavoro – Verbale unico di accertamento – Notificazione – Ultra-petizione – Sussistenza rapporto previdenziale-assicurativo – Genericità delle prove – Onere della prova – Rigetto

Fatti di causa

1. Il Tribunale di Milano respingeva le domande proposte da T. S.r.l. e V.T. nei confronti dell’INPS dirette ad ottenere la declaratoria di intervenuta prescrizione di ogni somma richiesta per il periodo 5.3.2014 e, previo accertamento della illegittimità del verbale unico di accertamento e notificazione del 5.3.2019 (nella parte in cui era stata annullata la posizione previdenziale del T. per il periodo dal 30.1.2019 al 23.6.2019), l’accertamento della genuinità del rapporto di lavoro intercorso tra gli originari ricorrenti, con conseguente condanna dell’Istituto a ripristinare la pregressa posizione previdenziale del T. per tale periodo.

2. La Corte di appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado evidenziando che:

a) correttamente il Tribunale aveva declinato la propria giurisdizione in ordine alla istanza di annullamento del verbale di accertamento, non sottraendosi successivamente all’indagine di merito;

b) l’onere della prova di dimostrare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato disconosciuto dall’INPS era in capo al lavoratore;

c) nella fattispecie, la prova della sussistenza dei presupposti costitutivi del rapporto di lavoro subordinato dirigenziale non era stata data;

d) le istanze di prova testimoniale formulate dal T. erano inammissibili;

e) in ogni caso le allegazioni sul punto, circa le mansioni e l’attività lavorativa asseritamente svolta, erano generiche;

f) il periodo valutato in sede di accertamento si riferiva al periodo 1.7.2012 – 31.12.2018.

3. Avverso la sentenza di secondo grado V.T. proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

L’INPS si costituiva non svolgendo attività difensiva, mentre il Fallimento T. S.r.l. restava intimato.

4. Il ricorrente depositava memoria.

5. Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.

Ragioni della decisione

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo si eccepisce la nullità della gravata sentenza per vizio di ultra-petizione in violazione dell’art. 112 cpc e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato con riferimento alla statuizione sulla giurisdizione e/o per violazione dell’art. 132 n. 4 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc.

Si contesta la statuizione dei giudici di merito che avevano dichiarato il difetto di giurisdizione sull’istanza di annullamento del verbale di accertamento, che non era stato mai chiesto, così incorrendo nel vizio di ultra-petizione o, in subordine, in un vizio di motivazione perplessa e oggettivamente incomprensibile.

3. Il motivo non è fondato.

4. Il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitummediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (per tutte, Cass. n. 644/2025).

5. Nella fattispecie in esame, a fronte di una richiesta di illegittimità del verbale unico di accertamento dell’INPS del 5.3.2019, la Corte di appello, in modo conforme al Tribunale, ha ribadito, da un lato, che non potevano essere adottate statuizioni di annullamento dell’atto amministrativo (cfr. Cass. n. 32886/2018) e, dall’altro, ha esaminato la richiesta di accertamento in ordine alla sussistenza, o meno, del rapporto previdenziale ivi contemplato ed oggetto di controversia.

6. In alcun vizio di ultra-petizione o di violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato sono, pertanto, incorsi, i giudici di seconde cure, ma hanno svolto un accurato e completo esame scrutinio della doglianza circa la dedotta “illegittimità” del verbale sotto ogni profilo.

7. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., sul riparto dell’onere della prova asseritamente posto, in modo erroneo nella fattispecie in esame, a carico del lavoratore.

8. Il motivo è anche esso infondato.

9. Le statuizioni della gravata sentenza sono conformi ai principi affermati da questa Corte (Cass. n. 809/2021) che ha precisato che, in forza del potere di autotutela spettante, in via generale, alle pubbliche amministrazioni, l’Inps è legittimato a compiere atti di verifica, di rettifica e di valutazione di situazioni giuridiche preesistenti, nonché ad annullare d’ufficio, con effetto “ex tunc”, qualsiasi provvedimento che risulti “ab origine” adottato in contrasto con la normativa vigente, e quindi può disconoscere in radice dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato che costituisce presupposto necessario ed indefettibile della sussistenza del rapporto assicurativo, con la conseguenza, in questa evenienza, che i contributi versati sono inidonei a costituire una valida posizione assicurativa. In tal caso, colui che intende far valere l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e, per l’effetto, la valida attivazione del rapporto previdenziale-assicurativo deve provare in modo certo l’elemento tipico qualificante del requisito della subordinazione (Cass. n. 809/2021).

10. Solo per completezza è opportuno evidenziare che tra il suddetto orientamento e quello di cui all’ordinanza di questa Corte (Cass. n. 2487/2022 non massimata) non è ravvisabile alcun contrasto per la diversità delle fattispecie esaminate.

Invero, nell’ordinanza citata del 2022, a differenza di quella oggetto della presente controversia, era l’INPS a chiedere i contributi relativi alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nei confronti dell’organo di amministratore della società, per cui condivisibilmente è stato individuato quale parte processuale tenuta alla dimostrazione dell’obbligo contributivo: nel caso de quo, invece, il citato precedente di questa Corte del 2021 si rileva più specifico e pertinente, anche perché l’Istituto non ha vantato alcun credito in relazione all’accertamento espletato.

11. Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 244 e 421 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale ritenuto inammissibili le articolate prove orali da esso ricorrente, perché ritenute generiche, nulla statuendo in merito al mancato esercizio dei poteri ex art. 421 cpc da parte dei giudici di merito.

12. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

13. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il giudizio sulla superfluità o sulla genericità di una prova per testimoni è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto, che, tuttavia, può essere censurata se basata su erronei principi giuridici ovvero su incongruenze di carattere logico (Cass., sez. 1, 10/08/1962, n. 2555; Cass., sez. 3, 06/09/1963, n. 2450; Cass., sez. 3, 16/11/1971, n. 3284; Cass., sez. 3, 24/02/1987, n. 1938; Cass., sez. 2, 10/09/2004, n. 18222; Cass., sez. L, 21/11/2022, n. 34189).

14. Tanto non si è verificato nel caso di specie in cui la Corte territoriale, non ammettendo le chieste prove testimoniali articolate dall’originario ricorrente, ha adeguatamente argomentato che la individuazione delle attività svolte dal T. era stata effettuata con formule generali, ricorrendo a categorie meramente descrittive, senza alcuna specificazione concreta in relazione a puntuali interventi, commesse, progetti, controlli e procedura nel cui ambito T. avrebbe esplicato la propria attività lavorativa; a ciò poi va aggiunto che la Corte territoriale, oltre alla genericità della prova, ha rilevato anche un deficit di richieste tese a dimostrare la sussistenza di un vincolo di subordinazione in senso tecnico, cioè come sottoposizione al potere gerarchico, organizzativo e disciplinare del lavoratore.

15. Quanto, poi, al mancato esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice di merito, va osservato che, “nel rito del lavoro, il ricorrente che denunci in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito, deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio” (Cass. n. 22628/2019).

16. Sicuramente il secondo presupposto della richiesta di sollecito nel grado di appello, da parte del ricorrente, non è stato allegato e specificato nella censura del motivo scrutinato e ciò rende, pertanto, infondata la doglianza anche sotto questo profilo.

17. Con il quarto motivo si obietta l’omesso esame di fatti/istanze istruttorie, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per non avere la Corte distrettuale rilevato che dai fatti esposti da esso ricorrente e dai documenti prodotti emergevano fatti decisivi ai fini di dimostrare la subordinazione del rapporto di lavoro intercorso con la società.

18. Il motivo è inammissibile.

19. L’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., come riformulato ex art. 54 d.l. n. 83 del 2012, prevede un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia formato oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); va peraltro escluso che tale omesso esame possa riguardare l’argomentazione della parte la quale, svolgendo le proprie tesi difensive, non fa che manifestare il proprio pensiero sulle conseguenze di un certo fatto o di una determinata situazione giuridica (Cass. n. 2961/2025), come nel caso di specie.

20. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

21. Nulla va disposto in ordine alle spese non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

22. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, nulla disponendo in ordine alle spese del presente giudizio.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.