In tema di pro-rata IVA la Corte di giustizia si è pronunciata sul caso Mercedes Benz Italia (causa C-378/15 del 14 dicembre 2016) ed ha sancito la compatibilità, sul piano delle norme eruope del pro rata di cui agli articoli 19, comma 5, e 19-bis del D.P.R. n. 633/1972 (cd. “matematico” ) applicabile ai soggetti passivi che pongono in essere sia operazioni imponibili che operazioni esenti.
L’ordinamento tributario Italiano come interpretate dall’Amministrazione finanziaria con la C.M. n. 328/E del 1997 al punto 3.3, comporta che l’imposta ammessa in detrazione sia calcolata assumendo, in virtù di una presunzione assoluta, che tutti i beni/servizi acquistati siano utilizzati per effettuare operazioni imponibili nella misura percentuale corrispondente al rapporto tra le operazioni imponibili (numeratore) e le operazioni imponibili più quelle esenti (denominatore).
Il pro rata “matematico” basato su un approccio di tipo soggettivo, poiché è collegato alla tipologia di attività svolta dall’operatore, che pone in essere operazioni sia imponibile che esente, a differenza del pro rata cd. “fisico”, regolato dall’articolo 19, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, che risponde al principio di destinazione effettiva, vale a dire dell’impiego dei beni/servizi acquistati nell’ambito di operazioni imponibili.
Posto che per i beni e/o servizi utilizzati esclusivamente per realizzare operazioni fuori campo IVA non compete alcuna detrazione d’imposta per effetto di quanto stabilito dall’articolo 19, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, per gli acquisti di beni e/o servizi impiegati per realizzare sia operazioni imponibili che operazioni escluse dal campo di applicazione dell’IVA spetta una detrazione parziale, rapportata all’entità del loro impiego nelle operazioni soggette ad imposta, come infatti previsto dal quarto comma dell’articolo 19 del D.P.R. n. 633/1972.
Per la determinazione della ripartizione dell’imposta tra la quota detraibile e quella indetraibile la norma non detta alcuna regola specifica, demandando al contribuente la scelta del criterio più appropriato alle diverse e variegate situazioni che possono verificarsi. A carico del soggetto passivi viene imposto soltanto che i criteri adottati siano oggettivi e coerenti con la natura dei beni/servizi acquistati.
L’articolo 19 comma 4 del Dpr 633/1972 stabilisce che, ove si tratti di beni e/o servizi utilizzati promiscuamente in operazioni soggette ad imposta e per fini privati o, comunque, estranei all’esercizio dell’attività, la quota d’imposta indetraibile e, conseguentemente quella detraibile, vanno determinate con i medesimi criteri innanzi illustrati.
L’indicazione contenute nella C.M. n. 18/331568 del 1981 (§ 9) sono in linea con il sistema di funzionamento del criterio del pro rata “fisico” secondo cui la quota-parte dell’imposta imputabile a ciascuna attività separata può essere determinata ricorrendo al criterio del rapporto fra i volumi d’affari nel solo caso in cui il contribuente non sia in grado di determinare, in concreto, la misura con la quale i beni/servizi acquistati risultino utilizzati per l’esercizio dell’attività separata.
Il soggetto economico nelle ipotesi di più attivitò (soggetto “misto”) per evitare gli effetti negativi del pro rata“matematico” può optare per la separazione delle attività (articolo 36, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972), con la conseguenza che l’imposta assolta sugli acquisti può essere recuperata in funzione dell’utilizzo dei beni/servizi nell’attività imponibile.
La norma dispone che, in caso di separazione facoltativa, la detrazione è esclusa per i beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente, nonché – per i beni ammortizzabili ed i servizi con destinazione “mista” – per la quota d’imposta riferibile all’attività esente (R.M. n. 72/E del 1997).
La disciplina in materia di separazione delle attività non contiene alcuna indicazione in merito alle modalità di imputazione dei costi promiscui. Sul punto, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che la ripartizione deve essere operata seguendo le stesse regole previste dall’articolo 19, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972 (C.M. n. 18/331568/1981, § 9 e R.M. n. 450565 del 1990). Soltanto laddove l’imputazione oggettiva non sia possibile, la quota d’imposta riferibile a ciascuna attività deve essere individuata in rapporto al rispettivo volume d’affari.
Il criterio del volume d’affari, se rappresenta il “driver” per individuare la quota d’imposta detraibile per i soggetti “misti” in regime di pro rata “matematico”, ai fini invece della determinazione del pro rata “fisico” o della misura della detrazione per i soggetti che hanno optato per la separazione delle attività, costituisce un criterio del tutto residuale, che può essere validamente utilizzato a condizione che non sia possibile ripartire i costi promiscui in base ad un criterio oggettivo e coerente con la natura dei beni/servizi acquistati.
In questo senso possono richiamarsi anche le indicazioni della giurisprudenza, sia di legittimità (Cass. n. 6255 del 2012) che di merito (C.T. Prov. di Milano n. 9113/3/16 del 2016).
Il principio, comune, che viene espresso è quello di escludere la ripartizione basata sul parametro del volume d’affari delle due attività se, a garanzia della neutralità dell’IVA, è possibile individuare in modo più preciso la quota d’imposta ammessa in detrazione ricorrendo ad un diverso criterio. Si tratta di una conclusione in linea con quella della Corte di giustizia dell’Unione europea, per la quale la normativa euro-unionale non impedisce che gli Stati membri applichino, per una determinata operazione, un metodo di ripartizione diverso da quello fondato sul volume d’affari, subordinatamente alla condizione che il metodo scelto garantisca la determinazione del pro rata di detrazione più precisa di quella risultante dall’applicazione del metodo “standard”, cioè basato sul volume d’affari (causa C-511/10, BLC Baumarkt e causa C-183/13, Banco Mais).
A ben vedere, lo stesso approccio dovrebbe applicarsi anche per gli acquisti promiscui dei soggetti in regime di pro rata “matematico”, ma – come in precedenza evidenziato – la Corte europea ha ritenuto che la disciplina nazionale in materia sia legittima; discutibilmente, però, perché l’esigenza di evitare distorsioni nell’applicazione dell’imposta non risulta tutelata nei casi, come quello oggetto di causa, in cui la percentuale di detrazione non rifletta in modo adeguato la composizione degli acquisti e, quindi, la loro incidenza rispetto alle operazioni imponibili.
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