La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3872 depositata il 17 febbraio 2020 intervenendo in tema di termine di decadenza per l’insinuazione al passivo ha statuito che “l’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare non è soggetta al termine di decadenza previsto dalla L. Fall., art. 101, comma 1 ed u.c.; tale insinuazione tuttavia incontra comunque un limite temporale, da individuarsi – in coerenza e armonia con l’intero sistema di insinuazione che è attualmente in essere e sulla scorta dei principi costituzionali di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui all’art. 24 Cost. – nel termine di un anno, espressivo dell’attuale sistema in materia, decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare.”
La vicenda ha riguardato l’agente per la riscossione che aveva chiesto di insinuare al passivo fallimentare un credito di natura restitutoria sorto successivamente alla dichiarazione di fallimento che vantava direttamente nei confronti della procedura, poichè aveva erroneamente accreditato sul conto della fallita, quando la compagine era già stata dichiarata insolvente, un rimborso di conto fiscale. Il giudice delegato alla procedura reputava inammissibile la domanda in quanto non vi era prova della non imputabilità del ritardo con cui l’insinuazione era avvenuta. A seguito del reclamo proposto il Tribunale riteneva in via preliminare che i provvedimenti del giudice delegato nel procedimento di formazione del passivo fossero comunque acquisibili, in quanto gli stessi facevano parte del fascicolo d’ufficio della procedura e non integravano documenti relativi alla prova del credito la cui produzione era soggetta a decadenza L. Fall., ex art. 99, comma 7. Il collegio dell’opposizione, una volta preso atto che il credito restitutorio era sopravvenuto rispetto alla procedura concorsuale, riteneva poi che, in assenza di una norma che disciplinasse i tempi di insinuazione del creditore sopravvenuto, dovesse farsi applicazione dei principi generali contenuti nella L. Fall., art. 101. Per la cassazione di tale decreto proponeva ricorso, l’Agente della Riscossione, in cassazione fondato su tre motivi.
Gli Ermellini ricordano che l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità è nel senso di escludere l’applicazione del termine decadenziale di 12 (o sino a 18) mesi dal deposito di esecutività dello stato passivo, ai sensi dell’art. 101 del RD 267/42, nei confronti dei crediti sopravvenuti.
Potendo, inoltre, i nuovi crediti sorgere, nei casi previsti dalla legge, durante tutto l’arco della procedura, anche in fase avanzata, con la conseguenza che il termine decadenziale di cui all’art. 101 del RD 267/42 potrebbe essere già scaduto alla data del sorgere del credito.
In tale ipotesi, non è possibile ritenere che i crediti così sorti rimangano privi di un adeguato spazio temporale per la presentazione dell’insinuazione, non costituendo a ciò rimedio adeguato l’opinione secondo cui, “costituendo il carattere sopravvenuto del credito stesso ragione di non imputabilità del ritardo dell’insinuazione, quest’ultima sarebbe comunque ammissibile ai sensi della L. Fall., art. 101, u.c.”
I giudici di legittimità sottolineano che le esigenze di celerità e concentrazione del procedimento di verifica del passivo non bastano a giustificare l’applicazione non solo delle modalità di accertamento dei crediti sopravvenuti, pacificamente ritenute applicabili, bensì pure dei termini di decadenza previsti dalla L. Fall., art. 101.