La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 32213 depositata il 21 novembre 2023, intervenendo in tema deposito di documentazione della parte rimasta contumacia in primo grado, ha ribadito il principio di diritto secondo cui “… nel processo tributario, in cui è ammessa la produzione di nuovi documenti in appello, è consentito alla parte, rimasta contumace in primo grado, produrre per la prima volta nel secondo grado l’originale dell’atto impositivo notificato (e di cui era contestata dal contribuente l’avvenuta notifica), costituendo tale produzione una mera difesa, volta alla confutazione delle ragioni poste a fondamento del ricorso della controparte, e riguardando il divieto di proporre eccezioni nuove, di cui all’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, unicamente le eccezioni in senso stretto (vedi, per tutte, Sez. 5 – , Ordinanza n. 14567 del 26/05/2021, Rv. 661352 – 01). Conseguentemente non può parlarsi né di eccezioni tardive né di documenti irritualmente prodotti da parte dell’ ente impositore; …”

Aspetto costituzionale dell’art. 58 del D.Lgs. n. 546/1992

Il Supremo consesso, con l’ordinanza n. 32213 del 2013, ha precisato che “… i paventati profili di incostituzionalità dell’ art. 58, comma secondo, d.lgs. 546/1992 devono ritenersi tutti superati per effetto della sentenza n. 199/2017 con la quale la Corte costituzionale ha respinto tutte le censure di incostituzionalità rimesse dal giudice di merito. In particolare la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 2, “sia in sé sia in relazione al comma 1 di essa norma“, sollevata in riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché ai “criteri di razionalità” e ai “principi generali dell’ordinamento“, mentre ha dichiarato non fondata, con riferimento a tutti i parametri evocati, quella sollevata “sia in sé sia in relazione al comma 1 di essa norma“, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione. I giudici costituzionali hanno, in primo luogo, esaminato l’eccezione sollevata circa la disparità di trattamento tra le parti del giudizio, sostenuta sulla base di un presunto “sbilanciamento a favore di quella facultata a produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel grado anteriore“. Al riguardo, la Consulta ha ritenuto sufficiente rilevare che tale sbilanciamento non sussiste poiché tale facoltà è comunque riconosciuta a entrambe le parti del giudizio. In secondo luogo il Giudice delle Leggi ha esaminato i profili di legittimità costituzionale legati alla differente disciplina delle nuove prove e della produzione documentale nell’ambito del processo civile e di quello tributario, confermando il principio secondo cui non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità tra i diversi tipi di processo. …”

Nuove eccezioni e nuovi documenti in appello

La Suprema Corte ha costantemente affermato il principio di di diritto secondo cui “… in tema di contenzioso tributario, ai sensi dell’art. 57, comma 2, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, sono precluse in appello esclusivamente le eccezioni nuove, dalle quali deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del tema della decisione, sicché, a fronte dell’eccezione di decadenza e prescrizione sollevata dal contribuente, l’allegazione dell’interruzione della prescrizione da parte dell’amministrazione finanziaria, provata mediante l’allegazione di documentazione, rappresenta una mera difesa o un’eccezione in senso improprio, pienamente ammissibile anche in appello in quanto mera contestazione delle censure mosse all’atto impugnato con il ricorso, senza introduzione di alcun elemento nuovo d’indagine (Cass., Sez. 5^, 29 novembre 2016, n. 24214; Cass., Sez. 5^, 28 dicembre 2018, nn. 33630, 33631, 33632, 33633, 33634 e 33635; Cass., Sez. 5^, 13 agosto 2020, n. 16997; Cass., Sez. 5^, 23 ottobre 2020, n. 23261; Cass., Sez. 6^-5, 22 aprile 2021, n. 10721), (Cass. Ordinanza n. 28822 del 2021)…”

I giudici di piazza Cavour hanno costantemente affermato che “… nel processo tributario è consentito alla parte rimasta contumace in primo grado, proporre in grado d’appello mere difese, volte alla confutazione delle ragioni poste a fondamento del ricorso della controparte, in quanto il divieto di proporre eccezioni nuove, di cui all’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 riguarda unicamente le eccezioni in senso stretto (Cass., sez. 5, n. 14020 del 2007). Sul punto, questa Corte ha avuto modo di osservare, con articolata motivazione, che nel contenzioso tributario, costituisce eccezione in senso stretto lo strumento processuale attraverso il quale si faccia valere un atto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa fiscale, non potendo essere considerata tale – e non comportando pertanto il divieto di sollevare eccezioni nuove in appello, posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 – la nuova deduzione, in grado di appello, di cosiddette eccezioni improprie, o mere difese, in quanto dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice, della inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, ovvero, specularmente, in quanto volte alla mera contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato con il ricorso ed alle quali rimane circoscritta la indagine rimessa al giudice. (Cass. 24214/2016). (Cass. ordinanza n. 16997 del 2020)…”

L’eccezione d’inammissibilità rappresenta una semplice difesa o un’eccezione in senso improprio, che è pienamente ammessa, in quanto si traduce in una contestazione dei vizi mossi al ricorso.

Il diritto di difesa deve essere sempre garantito, in ogni stato e grado, attraverso la produzione di memorie e documenti.

Ampliamento delle tesi difensive

Il Supremo consesso con l’ordinanza n. 24666 del 2021 ha precisato che nel giudizio di secondo grado possono essere ampliate le tesi difensive. In particolare “… Nel giudizio di appello, le deduzioni dell’appellante devono essere svolte in contrapposizione alle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado, il quale, nella fattispecie, aveva accolto il ricorso proposto dalla società contribuente ritenendo il difetto di motivazione dell’atto impositivo […] Ne consegue che la contestazione dell’appellante riguardante la sussistenza di tali presupposti di fatto contenuti nella relazione di stima allegata all’avviso di accertamento impugnato costituisce una deduzione difensiva integrante una mera difesa che non viola il divieto di “jus novorum” in appello, in quanto finalizzata a sostenere la tesi relativa alla corretta motivazione dell’atto impositivo. …”

Il giudicato, conformemente a quanto costantemente affermato dalla Suprema Corte, costituisce mere difesa infatti “… la deduzione in oggetto doveva ritenersi ammissibile, perché integrativa non di un ‘nuovo motivo’ avverso la sentenza di primo grado, e neppure di un’eccezione in senso proprio, quanto di un elemento difensivo basato su una circostanza (giudicato esterno su un elemento costitutivo dell’imposizione) sopravvenuta e suscettibile di essere fatta valere in ogni stato e grado del giudizio. (Cass. ordinanza n. 16717 del 2021)…”

Potere del giudice di disporre nuove prove

L’art. 58 del D.Lgs. statuisce che “…  1.Il giudice d’appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile.

2. È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti. …”

La giurisprudenza ha posto limitazioni a tale potere del giudice. Infatti tale potere non può essere  utilizzato  per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio.