Si configura l’assorbimento improprio quando il giudice del merito, chiamato a pronunciare su una pluralità di domande formulate sia in via principale che in via subordinata, si pronunci solo sulla prima, mentre sulla seconda la rigetti sulla base di un argomento «preliminare ed assorbente rispetto ad ogni altra considerazione», ritenuto idoneo a giustificare anche il rigetto della subordinata.
Per cui l’assorbimento improprio o per implicazione ricorre quando la pronuncia sulla questione assorbente si estende anche a quella assorbita, implicata nella prima, nel senso che la decisione resa o esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni ovvero ne comporta il rigetto.
In tema di assorbimento dei motivi ed eccezioni i giudici di piazza Cavour hanno dato la seguente definizione:
- l’assorbimento in senso proprio di una domanda ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno,
- ricorre l’assorbimento in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande.
Pertanto, allorquando l’assorbimento venga erroneamente dichiarato esso si traduce in una omessa pronunzia.
Assorbimento in senso proprio ed assorbimento in senso improprio
In particolare i giudici della Suprema Corte, sezione tributaria, con la sentenza n. 14978 depositata il 15 luglio 2020 (confermata anche dalle sentenze n. 555/2020 e 28341/2018; Cass. ordinanza n. 17363/2020; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 28995 del 12/11/2018, Rv. 651580 – 01; in termini già Cass., Sez. 1, Sentenza n. 28663 del 27/12/2013, Rv. 629570 – 01; Cass. ordinanza n. 13979 del 2019) ha ribadito che “… la figura dell’assorbimento, che esclude il vizio di omessa pronuncia, ricorre, in senso proprio, quando la decisione sulla domanda cd. assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, che con la pronuncia sulla domanda cd. assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, e, in senso improprio, quando la decisione cd. assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande” (cfr., fra quelle recenti, Sez. 2, 9 ottobre 2012, n. 17219; sez. 5, 16 maggio 2012, n. 7663).
Dunque, l’ipotesi di assorbimento cd. improprio […] ricorre allorchè una domanda venga decisa sulla base della soluzione di una questione di carattere esaustivo, che renda vano esaminare le altre: in sostanza, ove sussista il presupposto logico predetto, la motivazione sufficiente e pertinente è proprio quella dell’assorbimento.
Pertanto, l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso solo formale), in quanto, in realtà, la decisione cd. assorbente permette di ravvisare la decisione implicita anche sulle questioni cd. assorbite. …”
Sul punto la Corte Suprema con la sentenza n. 10993 depositata il 26 aprile 2023 ha che “… l’assorbimento si configura come un metodo logico-argomentativo di decisione delle questioni e comporta la formale omessa pronuncia su alcune delle domande proposte, a seguito della decisione su altra domanda, ritenuta “assorbente”. Non esiste, infatti, una definizione normativa dell’assorbimento, né esiste una definizione giurisprudenziale del medesimo, trattandosi di un istituto nato nella pratica giudiziaria, che con questo termine ha finito per indicare fenomeni spesso assai diversi fra loro (Cass. 12 luglio 2016, n. 14190, citata; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259).
Questa Corte, inoltre, ha precisato che, in mancanza di una definizione normativa del concetto di assorbimento, quest’ultimo lemma è stato utilizzato per designare situazioni eterogenee. Innanzitutto, si ritiene comunemente la sussistenza di un’ipotesi di assorbimento nel caso in cui la decisione sulla domanda cd. “assorbita” diviene superflua perché la parte non vi ha più interesse, avendo già con la decisione cd. “assorbente” ottenuto la tutela richiesta nel modo più pieno (ad esempio, perché è stata adottata una decisione su domanda “comprensiva” dell’altra). Ma si parla anche di assorbimento in tutte quelle ipotesi in cui, dopo la decisione cd. assorbente, non vi è più necessità di provvedere sulle altre questioni (ad es.: rigetto della impugnazione principale in rapporto alle impugnazioni incidentali condizionate), oppure non vi è più possibilità di farlo (ad es. decisione con la quale si dichiara il difetto di giurisdizione, l’incompetenza del giudice adito, l’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio). A tale ultimo proposito, deve rilevarsi che impropriamente si fa talora riferimento all’assorbimento anche nei casi di “pregiudizialità”, in cui è la stessa disciplina processuale a stabilire gli affetti della decisione pregiudiziale sulla questione “pregiudicata. Si parla, infine, di assorbimento anche nei casi in cui la decisione sulla domanda cd. assorbente comporta un implicito rigetto di altre domande (fondate ad esempio su presupposti antitetici o alternativi) (Cass. 16 maggio 2012, n. 7663, in motivazione).
Fermi tali principi, è stato anche evidenziato che tutte le ragioni di assorbimento sono riconducibili alle categorie logiche o della implicazione necessaria, tanto unilaterale quanto bilaterale (e si parla in tal caso di assorbimento improprio); o della esclusione, anche solo unilaterale, tra la domanda decisa e quella assorbita (e si parla in questo caso di assorbimento proprio (cfr. Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663); di conseguenza, mentre l’ipotesi di assorbimento improprio ricorre allorché la pronuncia sulla questione assorbente comporta di per sé una pronuncia anche sulla questione assorbita, perché questa è implicata in quella, sì che la soluzione finale della controversia non ne possa essere modificata (Cass., 14 aprile 1966, n. 945), la seconda ipotesi di assorbimento proprio ricorre allorché la decisione sulla questione assorbente faccia venir meno l’interesse delle parti ad ottenere una decisione su altra questione, poiché l’utilità della prima decisione esclude l’utilità della seconda. In questo caso tra le due questioni esiste un nesso non di implicazione, ma di esclusione (Cass., 27 dicembre 2013, n. 28663, in motivazione).
Più di recente, questa Corte ha precisato che l’assorbimento di una domanda in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte che, con la pronuncia sulla domanda assorbente, ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre quello in senso improprio è ravvisabile quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande (Cass. 22 giugno 2022, n. 12193; Cass. 30 maggio 2018, n. 13534).
Questa Corte ha pure precisato, distinguendo tra assorbimento proprio che consegue all’accoglimento della pretesa con riguardo ad una domanda, onde viene meno l’interesse della parte a conseguire la pronuncia sulle altre domande da essa formulate e assorbimento improprio che si determina quando la decisione sulla questione assorbente preclude l’esame delle altre o ne comporta l’implicito rigetto, che la declaratoria di assorbimento “non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita anche sulle questioni assorbite” (Cass. 6 aprile 2018, n. 8571; Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663).
Per quel che rileva specificamente in questa sede è stato, poi, statuito che, di fronte al fenomeno dell’assorbimento c.d. improprio, che ricorre nel caso di rigetto di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo e perciò assorbente, che rende superfluo l’esame delle altre, il soccombente non ha l’onere di formulare alcun motivo di impugnazione sulle questioni assorbite, essendo invece sufficiente, per evitare il giudicato interno, che censuri la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente, fatta salva la facoltà di contestare i presupposti della stessa statuizione di assorbimento, e la sua ricaduta sull’effettiva decisione della causa (Cass. 26 maggio 2022, n. 17155, in motivazione; Cass. 4 gennaio 2022, n. 48; Cass. 12 luglio 2016, n. 14190).
In conclusione, come affermato da autorevole dottrina, le forme di assorbimento proprio sono rinvenibili quando tra le censure formulate ricorre una condizione logica di subordinazione, condizionalità o di connessione e si caratterizzano per il fatto che tra profilo assorbente e profili dichiarati assorbiti si configura un nesso di implicazione logica, per cui la questione assorbente è risolutiva di questioni ulteriori e per questo assorbibili. Nel caso di assorbimento improprio, invece, viene dichiarato l’assorbimento improprio di censure che non presentano alcun vincolo di interdipendenza logica e in cui l’accoglimento del profilo ritenuto assorbente realizza il risultato processuale cui tendeva l’atto introduttivo del giudizio.
Ciò premesso in punto di statuizione di assorbimento e tornando al motivo in esame, deve osservarsi che il d.lgs. n. 546 del 1992, art. 56 che prevede che “le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, s’intendono rinunciate”, ha una portata analoga alla disposizione contenuta nell’art. 346 c.p.c., essendosi chiarito che il termine “questioni” (per tali intendendosi quelle “suscettibili di essere dedotta come autonomo motivo di ricorso o d’impugnazione”) non ha un’accezione più ampia di quella contenuta in detta disposizione, la quale si riferisce alle “domande”, e non comprende quindi anche le mere argomentazioni giuridiche (Cass. 13 marzo 2001, n. 3653).
Sicché, la sovrapponibilità delle ipotesi normative richiamate consente di ricorrere anche al vasto filone giurisprudenziale formatosi in merito all’interpretazione della disposizione contenuta nell’art. 346 c.p.c., prevalentemente intesa nel senso che l’onere di riproposizione riguarda, in particolare, le questioni, nel senso sopra precisato, non esaminate o non accolte perché assorbite (Cass. 13 aprile 2007, n. 8854; Cass. 12 gennaio 2006, n. 413). …”
Assorbimento di motivi ed omessa pronuncia – ricorso in cassazione
l’error in procedendo della sentenza impugnata che, nel rigettare l’appello, ha omesso di esaminare alcuni motivi di gravame, sul rilievo che essi fossero rimasti assorbiti, trascurando che l’assorbimento dei motivi opera soltanto nel caso di accoglimento del ricorso e non nel caso di rigetto del ricorso;
si configura, pertanto, un’omissione di pronuncia, atteso che “l’assorbimento di una domanda in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte che, con la pronuncia sulla domanda assorbente, ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre quello in senso improprio è ravvisabile quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento erroneamente dichiarato si traduce in una omessa pronunzia” (in tal senso, Cass., 22/06/2020, n. 12193; Cass. ordinanza n. 23874/2023);
Inoltre per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, il giudice, nel motivare “concisamente” la sentenza secondo i dettami di cui all’art. 118 disp. att. cpc, non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di diritto, considerate rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata. Ne consegue che quelle residue, non trattate in modo esplicito, non devono necessariamente essere ritenute come “omesse”, per effetto di “error in procedendo”, ben potendo esse risultare semplicemente assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico- giuridica con quanto concretamente ritenuto provato. (…) (Cass. Civ., ord. n. 26214/2022; Cass. Civ., ord. n. 9309/2020; Cass. Civ., ord. n. 363/2019; Cass. Civ., ord. n. 11458/2018; Cass. Civ. SSUU sentenza n. 24883/2008; Cass. Civ. n. 26242/2014 e Cass. Civ. n. 9936/2014).
Impugnazione dei motivi assorbiti da parte dell’appellato
La Corte Suprama ha statuito che “… In tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato, allorché proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito, ma sono relative a questioni sulle quali il giudice di appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza, che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza” (Cass. sent. n. 22095/2017; Cass. sentenza n. 28341/2018; Cass. ordinanza n. 588/2021)
Il Supremo consesso (Cass. civ., 19 ottobre 2012, n. 17950; Cass. civ., 18 dicembre 2014, n. 26830; Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12937; Cass. sentenza n. 26008/2022😉 ha costantemente puntualizzato che “… nel processo tributario la volontà dell’appellato, che sia risultato totalmente vincitore in prime cure, di riproporre le questioni assorbite, pur non occorrendo a tal fine alcuna impugnazione incidentale, deve essere espressa, non solo in modo “specifico” come richiede l’art. 56, d.lgs. n. 546/1992, ma anche tempestivamente, ossia, a pena di decadenza, nell’atto di controdeduzioni da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio, sicchè tale volontà di riproposizione non può essere manifestata in un atto successivo.
Militano in favore di questa linea interpretativa diversi elementi.
In primo luogo, induce in tale direzione la struttura e le finalità del processo tributario, indubbiamente ispirato a criteri di speditezza e di
concentrazione, essendo un processo di tipo impugnatorio con ambito delimitato, oltre che dal contenuto dell’atto impugnato, dai motivi specifici di censura formulati nel ricorso introduttivo (salva la possibilità, ma solo in casi particolari, di proporre motivi aggiunti), scandito da termini brevi e caratterizzato, di regola, dalla decisione della controversia, su base essenzialmente documentale, in un’unica camera di consiglio (o, su richiesta di parte, in udienza pubblica di trattazione), mentre non è neppure prevista la figura dell’udienza istruttoria.
Sotto tale profilo, è pienamente coerente con il complessivo delineato quadro normativo e con le finalità acceleratorie poste a fondamento
della struttura del processo tributario (senza che, d’altra parte, ciò comporti alcun aggravio all’esercizio del diritto di difesa), esigere che
l’ambito della materia del contendere, devoluto al giudice del gravame, sia definito, da entrambe le parti, sin dal primo atto difensivo, con la conseguenza che anche la volontà dell’appellato di riproporre le questioni assorbite, che indiscutibilmente concorre alla determinazione della portata del thema decidendum, deve essere espressa nell’atto di controdeduzioni, da depositare nel termine prescritto, e non può essere manifestata successivamente, a seguito di costituzione tardiva ovvero in un atto successivo, esclusivamente destinato, come previsto dall’art. 32, d.lgs. n. 546/1992, ad una funzione meramente “illustrativa”, cioè esplicativa, delle questioni già poste all’esame dell’organo giudicante.
In questo ambito, va osservato che la previsione di cui all’art. 32, comma 2 (anch’esso applicabile al giudizio di appello in base al
generale rinvio disposto dall’art. 61), stabilisce che fino a dieci giorni liberi prima della data di trattazione ciascuna delle parti può depositare “memorie illustrative”, alle quali, solo nel caso di trattazione in camera di consiglio, “sono consentite brevi repliche scritte”.
Se ne deve inferire che tali ulteriori memorie non possono che contenere l’illustrazione di quanto già dedotto ed eccepito nella prima memoria di costituzione in giudizio, disciplinata dall’art. 54, ma non possono introdurre per la prima volta questioni non già tempestivamente in essa dedotte.
D’altro lato, l’art. 53, comma 1, dispone che il ricorso in appello deve contenere, fra l’altro, a pena di inammissibilità, i “motivi specifici di
impugnazione”, ed il successivo art. 54, dispone che l’eventuale appello incidentale deve essere proposto, sempre a pena di inammissibilità, nel termine per la costituzione in giudizio (sessanta giorni dalla notifica dell’appello principale), nell’ambito dell’atto di controdeduzioni.
Entrambe le suddette previsioni sono, invero, palesemente indicative dell’intento legislativo di indurre i contendenti a delimitare la materia del contendere del giudizio di gravame già con i rispettivi atti di costituzione. …” (Cass. sentenza n. 26008/2022)
Inoltre la Suprema Corte con la sentenza n. 10993 depositata il 26 aprile 2023 ha precisato che “… in mancanza di una norma specifica sulla forma con la quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea a evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse (Cass. 11 maggio 2009, n. 10796; Cass. 20 agosto 2004, n. 16360); tale riproposizione, tuttavia, seppur libera da forme, dev’essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (Cass. 15 ottobre 2020, n. 22311).
Ancora è stato evidenziato che, in materia di impugnazioni, la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le eccezioni o le questioni superate o assorbite, difettando di interesse al riguardo, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente, in modo tale da manifestare la volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (Cass. 23 settembre 2021, n. 25840).
[…]
Non è sufficiente, dunque, ai fini della rituale riproposizione di una questione, che deve essere effettuata in maniera chiara e univoca, il generico quanto vacuo riferimento a tutte le difese e/o alle argomentazioni difensive prospettate nel ricorso di primo grado (cfr. Cass. 19 dicembre 2017, n. 30444; Cass. 27 novembre 2015, n. 24267; Cass. 6 luglio 2011, n. 14925; Cass. 20 ottobre 2010, n. 21506).
[…]
in tema di contenzioso tributario, ” il d.lgs. n. 546 del 1992, art. 56 nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perché ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via – riproposizione/rinuncia – rappresentata dal detto D.Lgs. n., artt. 56 (ndr D.Lgs. 1992 n. 546, artt. 56) e 346 c.p.c., rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione – principale o incidentale – o dell’acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno (Cass. n. 14534/2018; conf. Cass. n. 7702/2013)”. (Cass. 25 giugno 2020, n. 12591, in motivazione; Cass. 27 aprile 2016, n. 8332). …”
Effetti dell’accoglimento del ricorso principale sui motivi assorbiti del ricorso incidentale
Si ricorda, come evidenziato dai giudici di legittimità, che in base all’art.336 primo comma cod. proc. civ., la riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata. Per effetto dell’accoglimento dei motivi o dell’unico motivo del ricorso principale la questione investita dai motivi o dall’unico motivo del ricorso incidentale dipenderanno dall’esito del giudizio di rinvio. (Cass. ordinanza n. 16750/2021)
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