La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 17370 del 16 luglio 2013 interviene in materia di licenziamento per assenze ingiustificate degli apprendisti affermando che conformemente alla massima ricorrente di questa Corte per la quale la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, dato che questi deve sempre verificare, stante la inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa, di cui all’art. 2119 c.c., e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore, salvo il caso in cui il trattamento contrattuale sia più favorevole al lavoratore (Cass. 29 settembre 2005 n. 19053, 19 agosto 2004 n. 16260 e Cass. 21 maggio 1988 n. 5103).
La vicenda ha riguardato il provvedimento di licenziamento intimato ad un lavoratore assunto con contratto di apprendistato per assenza ingiustificata di tre giorni. Il lavoratore impugna il licenziamento inanzi al Tribunale, in veste di giudice di lavoro, che accoglie la domanda del lavoratore di annullamento del licenziamento.
La sentenza del giudice di prime cure viene confermata dalla Corte di Appello che motiva affermando “che la sanzione del licenziamento non poteva ritenersi proporzionata alla mancanza contestata considerato che le stesse parti collettive avevano previsto una sanzione conservativa in ordine alla più grave ipotesi del lavoratore che si assenta simulando la malattia o con sotterfugi si sottragga agli obblighi dì lavoro. Relativamente all’aliunde perceputmriteneva la Corte che ancorché la relativa eccezione fosse sollevabile per la prima volta anche in appello, tuttavia i fatti posti a fondamento della stessa dovevano essere tempestivamente allegati ed essendo quelli posti a fondamento dell’eccezione allegati tardivamente la relativa eccezione non poteva trovare accoglimento.” Avverso questa sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria.
Gli Ermellini rigettano i primi tre motivi, mentre accolgono la quinta censura. Infatti i giudici de legittimità affermano che “è principio di diritto di questa Corte che quando la rioccupazione del lavoratore illegittimamente licenziato costituisca allegazione in fatto ritualmente acquisita al processo, anche se per iniziativa del lavoratore e non del datore di lavoro, il giudice ne deve tener conto – anche d’ufficio – ai fini della quantificazione del danno provocato dal licenziamento illegittimo (Cass. 16 maggio 2005 n. 10155)
Del resto, sempre secondo questa Corte, in tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore l’eccezione, con la quale il datore di lavoro deduca che il dipendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione ovvero deduca la colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l’aggravamento del danno, non è oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte.”
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