CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 luglio 2013, n. 17579
Lavoro – Danno da demansionamento – Illecito permanente – Prescrizione – Termine decennale
Svolgimento del processo
1.- La sentenza non definitiva attualmente impugnata accoglie l’appello della RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 5499 del 2007, limitatamente al motivo concernente il mancato esame dell’eccezione di prescrizione e, conseguentemente, dichiara prescritti i crediti di A.F. per il periodo corrente sino al giugno 1997.
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il F., con il ricorso introduttivo, ha agito per il risarcimento del danno da demansionamento, subito a causa della mancata ottemperanza della RAI ad un precedente giudicato fra le parti, con il quale la datrice di lavoro era stata condannata alla reintegrazione del ricorrente nelle mansioni precedentemente espletate;
b) deve essere accolto il secondo motivo di appello della RAI, riguardante il mancato esame, da parte del Tribunale della formulata eccezione di prescrizione;
c) al riguardo il F. si limita a dedurre che la sentenza sul demansionamento era stata pronunciata il 24 luglio 2001, sicché il ricorso introduttivo del presente giudizio è tempestivo perché è stato depositato il 27 giugno 2002;
d) va, tuttavia, osservato che il precedente giudicato attiene soltanto alla richiesta di reintegrazione nelle mansioni, non essendo stata in quel giudizio formulata alcuna domanda risarcitoria;
e) ne consegue che il termine prescrizionale non può considerarsi sospeso in virtù della pendenza di tale giudizio, quindi va dichiarata la prescrizione di tutti i crediti maturati dal ricorrente per il quinquennio antecedente la notifica del ricorso introduttivo.
2- Il ricorso di A.F. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, la RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a., la quale deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
I – Sintesi dei motivi di ricorso
1.- Con il primo motivo si denunciano: a) violazione degli artt. 2934, 2935 e 2947 cod. civ.; b) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.
Si sottolinea che il demansionamento è considerato dalla giurisprudenza di legittimità come un illecito permanente, sicché, per la prescrizione, si deve avere riguardo al momento della cessazione della permanenza.
Infatti, nell’illecito permanente la pretesa risarcitoria è destinata a rinnovarsi continuativamente in relazione al perpetuarsi dell’evento dannoso, sicché la prescrizione comincia a decorrere da ciascun giorno successivo al danno già verificatosi.
Ciò trova conferma nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale perché un illecito possa configurarsi come permanente, è necessario che la condotta sia posta in essere dal medesimo soggetto, dovendo la permanenza essere accertata non già in riferimento al danno, bensì al rapporto eziologico tra il comportamento contra ius dell’agente – qualificato dal dolo o dalla colpa – e il danno.
Nella specie la cessazione dell’illecito non è mai avvenuta, come risulta confermato dal fatto che la RAI – aderendo sostanzialmente alla tesi del ricorrente – ha riconosciuto di non avere mai ottemperato all’ordine del giudice di reintegrare il F. nelle mansioni corrispondenti al suo livello di inquadramento, ribadendo l’assunto – già sostenuto nel precedente giudizio – della legittimità dell’assegnazione alle mansioni disposta a partire dal novembre 1989 e aggiungendo che tali mansioni non erano mai mutate perché non erano da considerare inferiori alla qualifica di appartenenza, così ammettendo di non essersi mai conformata alla sopravvenuta sentenza in senso contrario, passata in giudicato.
Nel presente giudizio il F. ha chiesto il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dalla mancata esecuzione da parte della RAI, protrattasi nel tempo, dell’ordine di reintegra nelle “mansioni dallo stesso espletate prima dell’assegnazione … al Reparto trasmissioni di via (…) ovvero in mansioni qualitativamente equivalenti”, contenuto nella sentenza di primo grado di un precedente giudizio instaurato tra le stesse parti, che aveva avuto conferma in appello e in cassazione, con la sentenza 24 luglio 2001, n. 10034, divenuta definitiva.
Si tratta di un danno causato da un illecito permanente, tuttora in essere, rispetto al quale non poteva essere pronunciata alcuna prescrizione.
2.- Con il secondo motivo si denunciano: a) violazione degli artt. 2946, 2947, 2087 e 2109 cod. civ.; b) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.
Si sottolinea che la Corte romana ha, altresì, applicato erroneamente e illegittimamente la prescrizione quinquennale, mentre il danno da demansionamento ha natura contrattuale e la relativa pretesa è soggetta all’ordinario termine decennale di prescrizione.
Si sottolinea come sia da considerare pacifico che il F. ha chiesto il risarcimento del danno conseguente alla responsabilità contrattuale ex art. 2087 cod. civ. (invocando la violazione degli artt. 1175, 1375 e 2103 cod. civ.) e, in via concorrente e/o alternativa, quello conseguente alla responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 cod. civ.
Peraltro, spetta al giudice, la qualificazione della domanda da effettuare facendo riferimento all’elemento materiale dell’illecito posto a base della pretesa risarcitoria azionata, a prescindere dalla avvenuta esplicitazione o meno dei tipo di responsabilità (contrattuale o extracontrattuale) invocata dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio.
Ne consegue che, nella specie, deve essere applicata la prescrizione decennale, decorrente quanto meno dal 15 febbraio 1995, data della formulazione della apposita richiesta da parte del F.. Poiché il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato notificato il 26 luglio 2002, è evidente che non si è verificata alcuna prescrizione.
Il – Esame delle censure
3.- In ordine logico deve essere esaminato per primo il secondo motivo di ricorso, che va accolto, per le ragioni di seguito esposte.
3.1.- Preliminarmente, deve essere affermata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità di tale motivo formulata dalla società controricorrente sull’assunto secondo cui il motivo non risulterebbe conforme al principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, non essendo stati riportati nel ricorso le parti dell’originario ricorso del F. nonché della sentenza passata in giudicato conclusiva del relativo giudizio da cui risulterebbe la natura contrattuale della responsabilità fatta valere dal ricorrente.
Va, infatti, precisato, al riguardo, che – in linea generale – la configurazione della natura della responsabilità fatta valere rappresenta una questione di diritto che, in quanto tale, può essere risolta direttamente dal giudice sulla base degli atti comunque prodotti in giudizio.
Quando, poi, a tal fine, assume rilievo un giudicato esterno che si sia formato a seguito di una sentenza della Corte di cassazione – come accade nella specie – “i poteri cognitivi del giudice di legittimità possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche mediante quell’attività d’istituto (relazioni preliminari ai ricorsi e massime ufficiali) che costituisce corredo della ricerca del collegio giudicante, in tal senso deponendo non solo il principio generale che impone di prevenire il contrasto tra giudicati ed il divieto del ne bis in idem, ma anche il rilievo secondo cui la conoscenza dei propri precedenti costituisce un dovere istituzionale della Corte, nell’adempimento della funzione nomofilattica dì cui all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario (Cass. SU 17 dicembre 2007, n. 26481).
Nella specie dalla sentenza di questa Corte passata in giudicato, pronunciata a conclusione del primo giudizio instaurato dal F. nei confronti della RAI (Cass. 24 luglio 2001, n. 10034), che rappresenta l’antecedente logico della presente controversia, risulta inequivocabilmente che in tale giudizio è stato accertato – conformemente alla domanda del ricorrente – che le mansioni, cui era stato addetto dopo il trasferimento al centro di via (…) non corrispondevano per livello di professionalità a quelle di fatto svolte a via (…) , né a quelle della sua qualifica contrattuale di tecnico di produzione di primo livello.
3.2.- In tale situazione non solo non viene in questione la violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione (prospettata dalla contro ricorrente) ma non possono nutrirsi dubbi sulla natura contrattuale della responsabilità fatta valere dall’attuale ricorrente nel presente giudizio, a prescindere dalla qualificazione formale adottata dal danneggiato e dalle norme dallo stesso richiamate.
Infatti – in base al costante orientamento delle Sezioni unite di questa Corte, che costituisce “diritto vivente” – ai fini dell’accertamento della natura giuridica dell’azione di responsabilità proposta dal lavoratore nei confronti del datore dì lavoro, non rileva la qualificazione formale data dal danneggiato in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale – anche attraverso il richiamo strumentale a singole norme di legge, quali l’art. 2087 o l’art. 2043 cod. civ. – perché ciò che conta è la verifica dei tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito posto a base della pretesa risarcitoria , sulla cui base si deve stabilire se sia stata denunciata una condotta del datore di lavoro contraria al generale divieto di neminem laedere – la cui idoneità lesiva possa esplicarsi, indifferentemente, nei confronti della generalità dei cittadini e nei confronti dei propri dipendenti -nel qual caso il rapporto di lavoro costituisce una mera occasione dell’evento dannoso, oppure se la condotta lesiva datoriale presenti caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di lavoro e gli sia imputata la violazione di obblighi specifici che trovino la loro ragion d’essere nel rapporto di lavoro, nel qual caso la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, conseguendo l’ingiustizia del danno alle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto di lavoro si articola e sostanziandosi la condotta lesiva nelle specifiche modalità di gestione del rapporto di lavoro stesso. Peraltro, l’azione proposta dal lavoratore danneggiato si deve qualificare – in via residuale – come di responsabilità extracontrattuale solo nel caso in cui, l’indagine condotta secondo gli indicati criteri con consenta di pervenire ad una precisa identificazione dell’azione stessa (Cass. SU 8 luglio 2008, n. 18623; Cass. SU 27 gennaio 2011, n. 1875; Cass. SU 27 febbraio 2013, n. 4850; Cass. SU 17 maggio 2013, n. 12103).
3.3.- Alla indubitabile natura contrattuale della responsabilità fatta valere nella specie dal F. consegue l’altrettanto certo – e, nella specie, non contestato – assoggettamento del diritto al risarcimento del relativo danno all’ordinario termine decennale di prescrizione, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte romana, con una statuizione poco comprensibile nella quale ha affermato la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, azionato nel presente giudizio, facendo riferimento alla originaria domanda introduttiva del primo giudizio intercorso tra le parti (nella quale il ricorrente si era limitato a chiedere di essere riassegnato a mansioni corrispondenti alla propria qualifica), senza considerare che, invece, nel presente giudizio il F. ha fatto valere la diversa pretesa diretta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dal suddetto demansionamento – accertato con la suindicata sentenza passata in giudicato, tuttora non eseguita, come la RAI non nega – danno prodotto anche per effetto del lungo protrarsi nel tempo dell’accertata dequalificazione.
4.- All’accoglimento del secondo motivo consegue l’assorbimento del primo.
IlI – Conclusioni
5.- In sintesi il ricorso deve essere accolto e la sentenza non definitiva della Corte di appello di Roma va cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con la dichiarazione che il diritto al risarcimento del danno del F. di cui si discute nella presente controversia è assoggettato all’ordinario termine decennale di prescrizione. Quanto alle spese processuali, si reputa che sussistano giusti motivi per una integrale compensazione delle spese dell’intero processo, data la complessità della vicenda giudiziaria posta a base della controversia nonché delle questioni ad essa sottese.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara che si applica la prescrizione decennale. Compensa, tra le parti, le spese dell’intero processo.
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