Corte di Cassazione sentenza n. 251 del 12 gennaio 2012
CONTENZIOSO TRIBUTARIO – ASSISTENZA TECNICA – VALORE SUPERIORE A LIRE 5.000.000
massima
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Nel processo tributario l’inammissibilità del ricorso deve essere dichiarata solo in casi eccezionali e non per vizi meramente formali. Non determina infatti la nullità dell’atto la mancata autenticazione della firma del contribuente in calce o a margine del ricorso a meno che il fisco non ne contesti l’autenticità. Inoltre, il giudice non deve dichiarare inammissibile il ricorso nel caso in cui l’interessato non nomini un difensore abilitato se il valore della controversia è al di sopra della soglia fissata dalla legge.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna che, accogliendo l’appello di B.F., rappresentante di commercio, le ha riconosciuto il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998, 1999, 2000 e 2001.
La contribuente non ha svolto attività nella presente sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo del ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, commi 1 e 3, art. 18, commi 3 e 4, l’amministrazione ricorrente, rilevato che “la B. proponeva appello con ricorso … e successiva costituzione in giudizio … con il ministero del Rag. L.M. P. senza, tuttavia che tale incarico” – “in sostituzione del difensore Dr. L.A. che rappresentava la contribuente nel precedente grado di giudizio” -“risultasse mediante conferimento di apposito mandato”, assume che, non avendo il giudice di secondo grado imposto alla contribuente – il cui ricorso in appello era bensì sottoscritto tanto dalla parte stessa che dal difensore L.M. P., ma non conteneva la procura a quest’ultima – di munirsi di difesa tecnica, fissando all’uopo il temine, come prescritto per le controversia, come la presente, di valore superiore ad Euro 2.582, sarebbe irregolare la sottoscrizione del ricorso in appello con conseguente inammissibilità di quest’ultimo alla stregua delle disposizioni in rubrica.
Con il secondo ed il terzo motivo la ricorrente denuncia, sotto due distinti profili, violazione della normativa istitutiva dell’IRAP in relazione al presupposto impositivo costituito dalla sussistenza di autonoma organizzazione, nonché vizio di motivazione.
Il primo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Per quanto attiene al primo profilo, conviene ricordare che questa Corte (Cass. sez. un., 2 dicembre 2004, n. 22601) ha chiarito che “nel processo tributario il giudice chiamato a conoscere di una controversia di valore superiore a lire 5.000.000, a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, comma 5, e art. 18, commi 3 e 4, è tenuto a disporre che l’attore parte privata che stia in giudizio senza assistenza tecnica si munisca di essa, conferendo incarico a difensore abilitato; con la conseguenza che l’inammissibilità del ricorso può essere dichiarata solo a seguito della mancata esecuzione di tale ordine. Una siffatta lettura delle disposizioni del D.Lgs. n. 546 del 1992” – secondo cui l’inammissibilità del ricorso può conseguire soltanto alla mancata nomina di un difensore tecnico nel termine all’uopo assegnato dal giudice tributario – “è l’unica conforme a Costituzione, secondo la sent. n. 189 del 2000 della Corte costituzionale, non rinvenendosi interpretazioni alternative che assicurino effettività alla tutela del diritto fondamentale di difesa nel processo ed adeguata tutela contro gli atti della P.A., alla stregua degli artt. 24 e 113 Cost., ove si consideri la peculiarità del processo tributario”. L’interpretazione proposta dal giudice delle leggi, che “s’inserisce nel solco tracciato dalla legge delega”, muove, appunto, dal rilievo “che la legge processuale tributaria prevede una assistenza e non già una rappresentanza della parte privata”.
La contribuente, nel caso in esame, come prescritto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, comma 1, risulta essere stata assistita, nel giudizio di secondo grado, da un difensore abilitato, che ha sottoscritto il ricorso in appello.
La ricorrente, infatti, pur rilevando che l’atto di impugnazione era sottoscritto, oltre che dalla contribuente, dalla professionista (la contribuente “proponeva appello con ricorsa… e successiva costituzione in giudizio…, peraltro con il ministero del Rag. L.M.P.”), si duole che tale incarico, in sostituzione del difensore nel primo grado, “non risultasse mediante il conferimento di apposito mandato”.
Ma l’incarico di assistenza tecnica al difensore abilitato, che a norma dell’art. 12, comma 5, citato può essere conferito anche oralmente all’udienza pubblica, era stato attribuito dalla B. – in modo implicito perché non consacrato in un autonomo atto, ma tuttavia in forma inequivoca – con la sottoscrizione dell’atto di appello, nel quale chiaramente ella aveva dichiarato di stare in giudizio “con il ministero” della L. – come si legge nel ricorso dell’amministrazione -, e quindi di essere dalla L. rappresentata e difesa.
Né l’Agenzia ricorrente contesta l’autenticità della sottoscrizione della parte, sicché non assumerebbe alcun rilievo la mancanza di autenticazione da parte del difensore, che d’altra parte non viene eccepita. Questa Corte ha affermato che “nel processo tributario la mancanza di autenticazione, da parte del difensore, della firma apposta dal contribuente per procura in calce od al margine del ricorso introduttivo non determina la nullità dell’atto, a meno che la controparte non contesti espressamente l’autenticità della sottoscrizione” (Cass. n. 6591 del 2008 e n. 11446 del 2010).
Posto dunque che in secondo grado la contribuente era provvista della prescritta assistenza tecnica, ogni ulteriore, eventualmente ravvisabile, profilo di doglianza del motivo, atterrebbe a vizi della procura alla liti.
Esso è però inammissibile, perché privo di autosufficienza, non essendo stata trascritta quella parte dell’atto, o degli atti, oggetto della censura.
Con riguardo al secondo ed al terzo motivo il Collegio osserva che la ratio decidendi della sentenza impugnata è conforme al principio, affermato dalle Sezioni unite di questa Corte in sede di composizione del contrasto delineatosi in materia nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio dell1 attività di agente di commercio di cui alla L. 9 maggio 1985, n. 204, art. 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della “autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumgue accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamsnte non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass. 26 maggio 2009, n. 12108).
D’altra parte, non è oggetto di censura l’accertamento di fatto compiuto dal giudice d’appello – secondo cui la contribuente “esercita l’attività di rappresentante personalmente in via diretta ed esclusiva, senza avvalersi di personale dipendente ed utilizzando modesti beni strumentali (n. 1 automezzo, indispensabile per la professione” – in ordine all’insussistenza, nella specie, di autonoma organizzazione.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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