Corte di Cassazione sentenza n. 4186 del 20 febbraio 2013
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO COLLETTIVO – DETERMINAZIONE CONCORDATA DEI CRITERI DI SCELTA DEI LAVORATORI DA LICENZIARE – FONDAMENTO E REQUISITI DI VALIDITA’ – RAZIONALITA’ – FONDAMENTO
massima
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Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, poiché questa scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., spettando al giudice il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore, mediante un apprezzamento delle prove, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua, logicamente coerente e completa.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
Il dr. P.I., dirigente di Banca Intesa spa, venne licenziato il 1 aprile 2004. Impugnò il licenziamento, chiedendo l’accertamento della sua “non giustificatezza” e la condanna della banca alla corresponsione dell’indennità supplementare, del premio di anzianità, della differenza tra quanto percepito a titolo di pensione e quanto avrebbe dovuto percepire a titolo di retribuzione sino al 65mo anno di età, della differenza conseguente sul TFR, nonché di 50.000 euro a titolo di danno morale-non patrimoniale.
Il Tribunale di Palermo respinse il ricorso.
La Corte d’appello ha confermato la decisione.
Il dr. I. ricorre per cassazione contro tale sentenza, pubblicata il 12 febbraio 2008, articolando due motivi.
Intesa San Paolo spa si difende con controricorso, nonché con memoria.
Entrambi i motivi denunziano violazione degli artt. 26 e 29 del ccnl per i dirigenti del credito del 1° dicembre 2000. Si assume che il licenziamento del dirigente sarebbe privo di giustificatezza perché non sarebbe stato dimostrato ed accertato il nesso di causalità tra la scelta organizzativa (insindacabile dal giudice) della banca e il recesso dallo specifico rapporto di lavoro.
Il motivo si conclude con il quesito in cui si chiede di affermare se “il giudice debba limitarsi ad accertare l’esistenza di scelte organizzative di carattere organizzativo, produttivo o gestionale del datore di lavoro, ovvero se debba anche accertare che queste siano casualmente collegate allo specifico licenziamento, e lo determinino”.
Con il secondo motivo si denunzia la violazione dei medesimi articoli del contratto collettivo, sostenendo che il licenziamento non può ritenersi giustificato quando il dirigente viene licenziato solo in ragione del fatto che egli ha maturato il diritto di accedere al trattamento pensionistico di anzianità, senza una previa valutazione della effettiva eccedenza di personale tra le specifiche posizioni in cui rientra quella assegnata al dirigente stesso.
Le eccezioni di inammissibilità dei motivi sollevate dalla controricorrente non sono fondate, in quanto gli stessi sono adeguatamente chiari e specifici e i quesiti di diritto rispondono ai requisiti di cui all’art. 366-bis c.p.c.
Tuttavia, entrambi motivi, da valutare congiuntamente, per lo stretto nesso che li lega, sono infondati, perché la sentenza della Corte d’appello non elude i problemi posti con il ricorso per cassazione.
La sentenza non si limita a verificare l’effettiva sussistenza del processo di riorganizzazione aziendale, ma individua le conseguenze sui posti di lavoro che tale ristrutturazione ha comportato, dando anche conto di quanto verificato ed accertato in sede di accordi con le organizzazioni sindacali, Federdirigenti compresa.
Nella motivazione della decisione, nei limiti in cui il giudice può svolgere il suo controllo sui processi di riorganizzazione aziendale (verifica della effettività del processo di ristrutturazione, a fronte della insindacabilità delle scelte imprenditoriali che lo hanno determinato), si è ricostruito, anche sulla base di quanto accertato in sede sindacale, il rapporto tra ristrutturazione ed eccedenza di posti di lavoro, compresa la posizione dei dirigenti aziendali e quella del ricorrente in tale ambito.
Individuata l’area dei dipendenti in esubero e verificato che in tale ambito rientrava il ricorrente, si è poi verificata la correttezza del criterio con il quale sono stati selezionati i lavoratori da licenziare.
Il criterio che ha portato al licenziamento del dr. I., accertato dalla Corte, è quello della maturazione dei requisiti per essere collocato in pensione di anzianità.
Come la giurisprudenza ha più volte affermato, si tratta di un criterio oggettivo, che permette di scegliere, a parità di altre condizioni, il lavoratore che subisce il danno minore dal licenziamento, potendo sostituire il reddito da lavoro con il reddito da pensione.
L’applicazione di tale criterio oggettivo deve poi presentare, nel contesto specifico, il requisito della esaustività, nel senso che deve essere da solo idoneo ad individuare un numero di lavoratori pari od inferiore a quello di coloro che a causa della ristrutturazione aziendale risultano in esubero. In caso contrario, deve essere integrato con ulteriori criteri, analogamente oggettivi.
La Corte si è attenuta a questi principi e criteri ed in loro applicazione, adeguatamente motivata, ha ritenuto sussistente il requisito della “giustificatezza” del licenziamento, che peraltro è criterio più ampio e più elastico di quello di giusta causa o di giustificato motivo oggettivo.
La sentenza, pertanto, appare rispettosa delle previsioni di legge e dell’autonomia collettiva che regolano la materia ed entrambi i motivi risultano privi di fondamento. Il ricorso, di conseguenza, deve essere rigettato, con condanna della parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità alla controparte.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione alla controricorrente delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in 40,00 euro per esborsi, nonché 6.075,00 euro per compensi professionali di avvocato, oltre IVA e CPA.
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