La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9663 depositata il 10 aprile 2024, intervenendo in tema di accertamento c.d. redditometro, ha ribadito il principio secondo cui “… in tema di accertamento delle imposte sui redditi, con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dall’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 (cd. redditometro), la prova contraria ivi ammessa, richiedendo la dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, atteso che la presunzione del loro concorso alla produzione del reddito trova fondamento, ai fini dell’accertamento suddetto, nel vincolo che li lega», (Cass. Sez. V, 31.10.2018, n. 27851) …”
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui l’Agenzia delle entrate notificava un avviso di accertamento con cui rideterminava sinteticamente il reddito complessivo ex 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un maggior reddito sulla scorta di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva. La contribuente impugnava l’atto impositivo con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (attualmente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). I giudici di prime cure accoglievano il ricorso della contribuente e annullavano l’avviso di accertamento. L’Amministrazione finanziaria impugnava la sentenza di primo grado. I giudici di appello accoglievano il gravame. La contribuente impugnava la sentenza di secondo grado con ricorso in cassazione fondato su sei motivi.
I giudici di legittimità accolgono il primo ed il quarto motivo di ricorso e, assorbiti i restanti, cassano la sentenza impugnata con rinvio.
I giudici di piazza Cavour, in ordine alla prova a carico del contribuente, chiariscono che “… La prova contraria ammessa non consiste, però, nella mera allegazione del rapporto di coniugio, bensì nella dimostrazione di elementi sintomatici che, in conseguenza del vincolo personale, il contribuente sottoposto ad accertamento abbia potuto ricevere rimesse in denaro sufficienti per far fronte alle spese sostenute. Si è già avuta l’occasione di chiarire, in merito, che «in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi dell’art. 38, comma 6, d.P.R. n. 600 del 1973 (applicabile “ratione temporis”), per consentire la riferibilità̀ della maggiore capacità contributiva a tali ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine alla loro disponibilità, alla loro entità̀ ed alla durata del relativo possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di accoglimento del ricorso del contribuente che aveva acquistato in favore del nipote un immobile pagandone l’anticipo ed accollandosi il restante mutuo, poi estinto con assegno circolare, deducendo la provenienza delle liquidità da operazioni di disinvestimento di titoli mobiliari e dalla disponibilità di risorse non senza tuttavia provarne l’utilizzo per l’acquisto contestato)», Cass. Sez. V, 4.8.2020, n. 16637. …”
Si ricorda che in tema di applicazione dell’imposta di donazione sulle donazioni informali e indirette tra familiari, che il Supremo consesso on la sentenza n. 7442/2024 ha stabilito che
A. «In tema di imposta sulle donazioni, l’ art. 56-bis, comma 1, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 , va interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni, ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l’adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall’ art. 769 cod. civ. , e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, sono accertate e sottoposte ad imposta (con l’aliquota dell’8%) – pur essendo esenti dall’obbligo della registrazione – in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti (€ 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, € 100.000 per fratelli e sorelle, € 1.500.000 per persone portatrici di handicap)»;
B. «In tema di imposta sulle donazioni, la dichiarazione prevista dall’ art. 56-bis, comma 1, lett. a), del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 , al fine dell’accertamento e della sottoposizione all’imposta delle liberalità diverse dalle donazioni (nella specie, di una donazione informale avente ad oggetto il trasferimento, mediante bonifico bancario dal conto corrente del donante al conto corrente del donatario, di attività finanziarie detenute all’estero), può provenire, oltre che dal donatario, anche dal donante e può essere rappresentata anche dall’istanza volta ad avvalersi della procedura di collaborazione volontaria ed il rientro dei capitali detenuti all’estero, quando la donazione abbia avuto ad oggetto le attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato, spontaneamente emerse per volontà dell’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’ art. 4, comma 1, del d.l. 28 giugno 1990, n. 167 , convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227 ».
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