CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 aprile 2017, n. 8720
Licenziamento disciplinare – Tardività della contestazione – Irregolare timbratura del cartellino marcatempo – Ritardo nell’inizio della prestazione
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 21.1.15, la E. SPA proponeva reclamo, ex art. 1, co. 58, I. n. 92/2012, avverso la sentenza del Tribunale di Milano che aveva respinto l’opposizione, dalla stessa presentata, avverso l’ordinanza di declaratoria dell’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato a M.G. con lettera del 27.3.14 e conseguente applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria di cui all’art. 18 I. n. 300\70, condannando la società alla rifusione delle spese processuali.
In particolare, il primo Giudice ritenne che correttamente fosse stata affermata nell’ordinanza la tardività della contestazione del 10.3.2014, atteso che la società, fin dal novembre del 2013, era risultata a conoscenza delle condotte contestate, costituite dalla sistematica violazione, da parte del lavoratore, della regola aziendale che prescriveva la timbratura in entrata con la divisa indossata e dalla conseguente dilazione dell’effettiva presa di servizio per effetto del successivo vestire la divisa.
Con sentenza depositata il 25 marzo 2015, la Corte d’appello di Milano rigettava il reclamo, concordando con la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto che al M. non poteva ritenersi contestata la più grave ipotesi (prevista dal c.c.n.I. come causa di licenziamento) di alterazione o irregolare timbratura del cartellino marcatempo, bensì quella del ritardo nell’inizio della prestazione (conseguente al tempo necessario per indossare, dopo la timbratura regolare del cartellino, la divisa di lavoro) punita dal c.c.n.I. con sanzione conservativa.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la E., affidato ad unico motivo, poi illustrato con memoria.
Il M. è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1. – La ricorrente denuncia l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, oltre alla violazione degli artt. 225 e 229 del c.c.n.I. aziende del terziario, distribuzione e servizi, e dell’art. 2119 c.c.
Lamenta che la sentenza impugnata non aveva adeguatamente considerato che con la timbratura del cartellino in abiti borghesi, in contrasto con le direttiva aziendali, il M., più che iniziare semplicemente la prestazione lavorativa in ritardo, sanzionata dall’art. 225 del c.c.n.I. con provvedimento conservativo, aveva dolosamente lucrato la retribuzione dal momento della timbratura del cartellino sino al momento dell’effettivo inizio dell’attività lavorativa, dopo il tempo trascorso per indossare la prescritta divisa. Evidenzia la differenza tra la timbratura del cartellino in ritardo, con decorrenza della retribuzione solo da tale momento, e quella della dolosa timbratura anticipata rispetto all’effettivo inizio della prestazione lavorativa. Da ciò conseguiva anche l’illegittimità della disposta reintegra del M. nel suo posto di lavoro.
Il motivo è inammissibile in quanto diretto a censurare l’accertamento dei fatti, ivi compresa l’interpretazione delle norme contrattuali collettive, effettuato dalla Corte di merito.
Quest’ultima ha accertato che l’art. 225 del c.c.n.I. prevede l’applicazione di sanzioni solo conservative in caso di “ritardi nell’inizio del lavoro senza giustificazione”, mentre l’art. 229 prevede il licenziamento per giusta causa in caso di “irregolare e dolosa scritturazione o timbratura di schede di controllo delle presenze al lavoro”. Ha quindi accertato che nella specie non vi fu alcuna dolosa irregolare timbratura, ma solo una timbratura senza avere indossato la divisa (operazione che questa Corte, peraltro, ha più volte ritenuto rientrare nel tempo di lavoro e dunque da retribuire, cfr. ex plurimis, Cass. n. 20714\2013, Cass. da n. 1819 a n. 1841/2012, Cass. n. 1703/2012), ritardando così essenzialmente (per il tempo necessario ad indossare la divisa) l’inizio della prestazione lavorativa. Circostanza che non aveva nulla a che fare con una dolosa scritturazione o timbratura di schede di controllo delle presenze al lavoro.
Trattasi di accertamenti di fatto, non censurabili in sede di legittimità nel regime di cui al novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c.
Da ciò consegue anche l’infondatezza della censura, sia pur non esplicitata nella rubrica del motivo, in ordine all’applicazione della tutela reale ex art. 18, comma 4, novellato (dalla L. n. 92\12), avendo la corte di merito accertato che la violazione rientrava, in base alle norme collettive citate, tra le condotte punibili con sanzione conservativa.
2. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Nulla per le spese, non avendo il M. svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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