CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2017, n. 571
Accertamento – Credito d’imposta – Datore di lavoro – Recupero
Ritenuto in fatto
1. La E. Srl propone ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. staccata di Messina, indicata in epigrafe, con la quale, accogliendosi parzialmente l’appello dell’agenzia delle entrate di Messina, si è riconosciuta la legittimità del recupero del credito di imposta relativo all’anno 2003 indebitamente utilizzato dalla società per tre lavoratori.
Il giudice d’appello ha rilevato che, mentre per gli anni d’imposta 2001 e 2002 la definizione automatica delle pendenze fiscali ha precluso ogni possibilità di accertamento così confermando in parte qua la decisione della Commissione tributaria provinciale impugnata, con riguardo all’anno 2003 mancano i presupposti di cui all’art. 7, comma 5, lett. b), della legge n. 388 del 2000 con riferimento all’art. 8 comma 9 I. n. 407 del 1990 (segnatamente stato di disoccupazione nei 24 mesi precedenti l’assunzione) per la maturazione del credito d’imposta in favore della società datore di lavoro.
2. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
3. Con memoria del 22/09/2016 la ricorrente, precisando che nelle more, in data 15/06/2016, il Tribunale di Messina ha dichiarato il fallimento della E. Srl, ha comunicato l’interesse alla prosecuzione del giudizio pendente.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3 della I. n. 241 del 1990 e 7 della I. n. 212 del 2000 essendo l’atto di recupero impugnato stato motivato mediante il richiamo per relationem al processo verbale di constatazione, notificato al contribuente ma privo degli allegati in esso citati.
Il motivo è infondato : la sentenza impugnata ha affermato, contrariamente a quanto era già stato ritenuto dalla sentenza di primo grado, che il processo verbale completo degli allegati venne consegnato alla ditta alla fine della verifica; ne consegue che la contraria affermazione del ricorso, che su tale circostanza fonda le pretesa violazione delle norme sopra ricordate, si risolve in una prospettazione del fatto in termini diversi da quella già accertata nel giudizio di merito con conseguente inammissibilità del motivo articolato (cfr. Sez. 5, n. 23045 del 11/11/2015, Rv. 637151; Sez. 5, n. 16872 del 24/07/2014, Rv. 631954).
2. Con il secondo motivo è denunciata la violazione degli artt. 2697 cod. civ. e 7 del d. Igs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., non avendo l’amministrazione, in conseguenza della mancata allegazione del processo verbale di constatazione, assolto all’onere della prova sulla stessa incombente, mentre con il terzo motivo è denunciata la violazione degli artt. 2697 cod. civ. e 7 del d. Igs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per mancata produzione agli atti da parte dell’Amministrazione delle certificazioni attestanti i redditi percepiti dai lavoratori nei ventiquattro mesi precedenti l’assunzione.
Ora, entrambi i motivi, congiuntamente esaminabili perché afferenti il medesimo aspetto della invocata inadempienza dell’onere di provare i presupposti della pretesa dell’amministrazione, ovvero il recupero del credito di imposta, sono inammissibili.
Va ribadito infatti che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (tra le altre, Sez. 3, n. 19064 del 05/09/2006, Rv. 592634 e Sez. 3, n. 15107 del 17/06/2013, Rv. 626907). Nella specie, invece, proprio un’indebita valutazione il ricorrente intende sostenere senza che, tuttavia, per quanto appena ricordato, possa ritenersi violato l’art. 2697 cit.. E d’altra parte, nessuna erronea attribuzione dell’onere della prova risulta essere stata effettuata dal giudice del merito laddove, versandosi, nella specie, in tema di agevolazione di imposta, tale essendo infatti il credito di imposta utilizzato dalla società ricorrente, spettava al contribuente e non all’amministrazione dimostrare i fatti costituivi di tale credito.
3. Infine, con la quarta censura è denunciata la violazione dell’art. 15 del d.lgs. n. 546 del 1992 per avere la sentenza disposto la compensazione delle spese del giudizio nonostante la implicita parziale soccombenza dell’Ufficio le cui ragioni sono state riconosciute in misura minoritaria.
Tale motivo è inammissibile : premesso che nella specie si versa in ipotesi di reciproca soccombenza giacché, mentre per gli anni 2001 e 2002, la definizione automatica delle pendenze fiscali ha precluso all’Ufficio ogni possibilità di accertamento, per l’anno 2003 si è ritenuto legittimo il recupero dell’imposta, va riaffermato che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (tra le altre, Sez. 2, n. 2149 del 31/01/2014, Rv. 629389).
4. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato; ne consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dall’Amministrazione e liquidate in complessivi euro 4.000 oltre alle spese prenotate a debito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi euro 4.000 oltre alle spese prenotate a debito.
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