CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 maggio 2022, n. 16208
Licenziamento – Attività lavorativa svolta presso terzi durante l’assenza per malattia – Allontanamento dal domicilio nelle fasce di reperibilità – Violazione degli obblighi di lealtà e fedeltà – Proporzionalità della sanzione alla gravità degli addebiti
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Salerno confermava la decisione di primo grado che aveva respinto l’opposizione ex rito Fornero avverso il provvedimento sommario di rigetto della domanda avanzata da C.A., direttore amministrativo di centro di riabilitazione, nei confronti di I. s.r.I., diretta alla affermazione della illegittimità del licenziamento intimato con lettera del 26 aprile 2016 e motivato dallo svolgimento di attività lavorativa presso terzi durante l’assenza per malattia, dalla violazione degli obblighi di lealtà e fedeltà in relazione al rapido recupero delle capacità di svolgere la prestazione e, inoltre, dalla assenza dal domicilio durante le fasce di reperibilità.
Riteneva la Corte territoriale che la condotta del C. fosse idonea a integrare grave violazione degli obblighi contrattuali, tale da far venir meno la relazione di fiducia sottesa al rapporto di lavoro, risultando che, in costanza di assenza per malattia, il lavoratore aveva svolto prestazioni presso altra ditta e si era dedicato ad altre attività fuori casa, anche durante le ore di reperibilità, senza dimostrare una urgente necessità di allontanarsi dal domicilio.
Rilevava, inoltre, che neppure valeva l’assunto del lavoratore in forza del quale l’attività svolta sarebbe incompatibile con la malattia depressiva di cui era affetto, non conciliandosi le prestazioni espletate durante l’assenza con la prescrizione di “riposo e terapia farmacologica” ed essendo onere del lavoratore dimostrare la compatibilità dell’attività in favore di terzi con l’infermità.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il lavoratore sulla base di tre motivi, illustrati con memoria.
3. Resiste con controricorso la società.
Considerato che
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2110 e 2019 c.c., denunciando lo scorretto governo dei principi di diritto in tema di giusta causa di licenziamento e osservando che, posto che non era oggetto di contestazione la natura della malattia (sindrome ansioso-depressiva) ed era stata acclarata anche l’attività svolta durante il periodo di malattia (attività di vita comune e, quanto alla attività lavorativa, stazionamento presso un esercizio commerciale di ortopedia), la corretta applicazione della nozione di giusta causa avrebbe imposto di valutare la compatibilità delle attività svolte con lo stato di malattia.
2. Riguardo al primo motivo va rilevato che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la Corte territoriale ha proceduto alla valutazione di compatibilità dell’attività svolta dal dipendente che si assume omessa, rilevandone l’incompatibilità con la prescrizione medica di riposo, talché la censura, investendo la valutazione compiuta dal giudice del merito, è inammissibile.
3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., in realtà denunciando la mancanza assoluta e l’apparenza della motivazione, principalmente in punto di ritenuta irrilevanza della genesi della malattia.
4. La censura, inammissibile per l’inesatta deduzione di un vizio rilevante a termini dell’art. 360 n. 5 c.p.c., è anche infondata, in presenza di motivazione idonea, in base ai parametri indicati da Cass. 8053/2014, a rendere esplicito il ragionamento sotteso alla decisione, avendo la Corte territoriale spiegato, tra l’altro, che la genesi della malattia non assumeva rilevanza in ragione della natura degli addebiti contestati, riguardanti la violazione delle prescrizioni attinenti allo stato di malattia e non la mancanza o simulazione della malattia stessa.
5. Con l’ultimo motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione degli artt. 2104, 2106 e 2119 c.c., in relazione all’art. 4 CCNL per le case di cura private ARIS, riguardo all’addebito di essersi allontanato dal domicilio nelle fasce di reperibilità, trattandosi di circostanza marginale, insufficiente a legittimare la massima sanzione disciplinare, dovendo il giudice necessariamente procedere, in base a tutte le circostanze del caso concreto, alla valutazione della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della mancanza.
6. Anche l’ultimo motivo non merita accoglimento, poiché il giudizio concernente la giusta causa di licenziamento è stato compiuto dalla Corte territoriale avuto riguardo all’insieme delle condotte addebitate al lavoratore e, in primo luogo, allo svolgimento presso terzi di attività lavorativa incompatibile con le prescrizioni mediche, sicché la circostanza dell’allontanamento dal domicilio nelle fasce di reperibilità assume rilevanza solo secondaria nell’ambito degli addebiti mossi al lavoratore a sostegno della ravvisata giusta causa di licenziamento.
7. in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato e le spese regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 4.000,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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