CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 luglio 2018, n. 19797
Accertamento fiscale – Indebita detrazione dell’IVA – Violazione del regime del margine
Rilevato che
1. L’Agenzia delle entrate, sulla scorta delle risultanze della verifica fiscale condotta dalla G.d.F. a carico della D. Car Center s.r.l., in liquidazione, e compendiata nel p.v.c. redatto in data 11/05/2006, da cui emergeva il coinvolgimento della stessa, quale soggetto interposto tra il primo cedente nazionale e gli acquirenti finali di autovetture, in una frode fiscale finalizzata all’effettuazione delle operazioni di compravendita di autovetture in violazione del regime del margine, al fine di consentire agli acquirenti finali indebite deduzioni di componenti negativi di reddito e l’indebita detrazione dell’IVA, nonché l’irregolare tenuta della contabilità, con riferimento all’anno d’imposta 2005 emetteva un avviso di accertamento notificato alla predetta società in data 17/06/2008, non impugnato, e, quindi, sulla scorta di altro p.v.c., redatto dalla G.d.F. in data 26/10/2011, emetteva un secondo avviso di accertamento, integrativo del primo, notificato in data 07/03/2012 con cui accertava un maggior reddito d’impresa nonché l’IVA effettivamente dovuta e contestava alla predetta società anche l’omessa esibizione di taluni libri e registri obbligatori.
1.1. Il ricorso proposto dalla società contribuente avverso il secondo atto impositivo veniva rigettato dalla CTP di Roma con sentenza confermata dalla CTR del Lazio che riteneva sussistenti i presupposti per l’applicazione del raddoppio dei termini di accertamento.
2. Avverso tale sentenza la società contribuente propone ricorso per cassazione anche nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, affidato a due motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memoria.
4. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
Considerato che
1. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze per difetto di legittimazione processuale e perché estraneo ai gradi di merito del giudizio (cfr., ex multis, Cass. n. 19111 del 2016, n. 22992 del 2010, n. 9004 del 2007, nonché Cass. S.U. n. 3118/2006; n. 3116/2006; n. 20781/2016, precisandosi che, in difetto di difese svolte dall’intimato, non occorre disporre sulle spese di lite (v., da ultimo, Cass. n. 319 del 2018 di questa Sottosezione);
2. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo vigente ratione temporis, sostenendosi che l’omessa produzione in giudizio della denuncia di reato e del p.v.c. redatto dalla G.d.F. in data 26/10/2011, non aveva consentito ai giudici di appello di verificare la sussistenza del presupposto legittimante il raddoppio dei termini di accertamento, ovvero l’obbligo di denuncia penale.
3. Il motivo è inammissibile ed infondato, benché nei limiti di cui appresso si dirà.
4. Sotto il primo profilo va rilevata la violazione del principio di autosufficienza del ricorso, postulato dall’art. 366 c.p.c., posto che la ricorrente ha omesso di riprodurre nel ricorso, in ossequio a quel principio, il contenuto dell’atto impositivo, allo scopo di consentire a questa Corte di verificare se la sussistenza di ipotesi di reato a carico della società contribuente, in particolare quello di cui all’art. 10 della legge n. 74 del 2000 (occultamento o distruzione di scritture contabili), di cui dà atto la CTR nella motivazione dell’impugnata sentenza, non emergesse dallo stesso avviso di accertamento, all’uopo risultando del tutto insufficienti le poche righe trascritte a pag. 2 del ricorso, riguardante il rinvio per relationem al contenuto del p.v.c. del 26/10/2011 precedentemente consegnato al legale rappresentante della società contribuente.
5. Quanto all’infondatezza (parziale) del motivo, deve ribadirsi l’insegnamento di questa Corte secondo cui, «In tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza», come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della 1. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; conf. Cass. n. 26037 del 2016).
6. Nelle citate pronunce la Corte ha avuto cura di precisare: a) che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza», applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere accertato dal giudice; b) che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, ne dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.); c) che su tale assetto nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (legge n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d ‘imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati — come nel caso in esame, in cui l’atto impositivo risulta notificato in data 07/03/2012 — si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto.
7. Pertanto, con riferimento ad avvisi di accertamenti emessi e notificati nell’anno 2012, come nella fattispecie, è del tutto indifferente la data in cui viene effettuata la comunicazione di notizia di reato, così come è del tutto irrilevante l’omissione della stessa comunicazione e, a maggior ragione la sua produzione in giudizio, perché quello che invece assume rilevanza ai predetti fini è la circostanza che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti; circostanza che nel caso in esame, con riferimento alla violazione dell’art. 10 della legge n. 74 del 2000, di cui dà atto la CTR, neppure è stata contestata.
7.1. Per tale ragione, però, il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’IRAP posto che, «non essendo TIRAI3 un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione ternporis (cfr. Cass. n. 20435/2017; n. 4775/2016 n. 26311 del 2017, n. 23629 del 2017, n. 4758 e n. 14440 del 2018).
7.2. Ne consegue che il motivo in esame va accolto limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IRAP e rigettato per le altre imposte accertate.
8. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, consistente nella circostanza che l’avviso di accertamento impugnato, notificato il 07/03/2012, era integrativo di quello notificato il 17/06/2008, e pertanto era stato notificato oltre il termine di decadenza del potere accertativo dell’amministrazione finanziaria.
9. Il motivo è inammissibile sia perché, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, la circostanza indicata nel motivo non risulta essere stato oggetto di discussione tra le parti, sia perché incorre nella violazione della regola della c.d. “doppia conforme”, di cui all’art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ., applicabile anche nel giudizio di legittimità in materia tributaria, ovvero al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (cfr. Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014), osservandosi, al riguardo che la ricorrente avrebbe dovuto assolvere all’onere, nella specie invece non adempiuto, di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774 del 2016).
10. Il motivo è comunque infondato per le medesime ragioni e nei medesimi termini già esposti esaminando il primo.
11. In estrema sintesi, va dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e quello proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate va accolto limitatamente all’IRAP, con rigetto per le altre imposte; la sentenza impugnata va, quindi, cassata con riferimento a tale imposta, senza necessità di rinvio, non essendovi ulteriori accertamenti da compiere, con accoglimento dell’originario ricorso della società contribuente limitatamente alla ripresa ai fini IRAP.
12. L’esito del giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese processuali del presente giudizio di legittimità e di quelli dei gradi di merito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, accoglie il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della società contribuente limitatamente alla ripresa ai fini IRAP. Spese processuali compensate.
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