Corte di Cassazione ordinanza n. 21112 del 4 luglio 2022
ricorso in cassazione – vizio di una relata di notifica – di registrazione a debito di una sentenza
Rilevato che:
1. La curatela del fallimento della P.D.S. s.r. ha impugnato la cartella di pagamento n. 0712020170002571883003 (registro 2004) relativa all’imposta di registro riferita alla sentenza n. 6171 del 2004 del Tribunale di Napoli. In particolare, la curatela ha dedotto: 1) la nullità della cartella, non essendo stata preceduta dalla notifica dell’atto impositivo; 2) la violazione e falsa applicazione degli artt. 57 e 59 d.P.R. n. 131 del 1986, in quanto, relativamente alla condanna al risarcimento del danno per fatti aventi rilevanza penale, come nel caso di specie (sentenza di condanna degli amministratori ex art. 216 legge fall.), sussiste una deroga al principio di solidarietà e conseguentemente la sentenza avrebbe dovuto essere registrata a debito e l’imposta recuperata solo dai danneggianti; 3) la decadenza e prescrizione della pretesa impositiva, essendo stata notificata la cartella di pagamento nel 2017 e non entro il 31 dicembre 2009.
La Commissione Tributaria Provinciale ha accolto il ricorso, ritenendo che, ai sensi dell’art. 59, primo comma, d.P.R. n. 131 del 1986 occorra registrare a debito le sentenze di condanna al risarcimento del danno prodotto da fatti costituenti reato.
All’esito dell’appello dell’Agenzia delle Entrate e di quello incidentale della curatela, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, affermata la mancanza di una rituale notifica dell’avviso di liquidazione del tributo, in accoglimento dell’appello incidentale, ha respinto l’appello principale.
Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, formulando tre motivi.
Il fallimento P.D.S. P.D.S. s.r.l. ha resistito con controricorso.
Per la trattazione della causa è stata fissata l’adunanza camerale del 26 aprile 2022.
Considerato che:
1. L’Agenzia delle Entrate ha dedotto, con il primo motivo di ricorso, la violazione dell’art. 7 della I. n. 890 del 1982 in ordine alla notifica del prodromico avviso di liquidazione – 7, che, nella versione vigente alla data della notifica in esame, non prevedeva l’obbligo della raccomandata informativa nell’ipotesi di irreperibilità del destinatario – sottolineando che dalla carente indicazione dell’indirizzo del destinatario non deriva la nullità della notifica,. ove l’atto sia stato ricevuto dal portiere.
2. Con la seconda censura si è prospettata la erronea applicazione dell’art. 59 d.P.R. n. 131 del 1986, competendo solo al cancelliere, su richiesta di parte, la prerogativa di adottare la prenotazione a debito dell’imposta di registro, non potendo l’ufficio finanziario, che è mero esecutore della richiesta dei cancellieri, optare per tale regime in assenza dell’indicazione in tal senso del cancelliere.
3. La terza censura ha investito la sentenza impugnata per avere la Commissione Regionale violato il disposto dell’art. 57 P.R. n. 131 del 1986, essendo le parti del giudizio civile solidalmente responsabili, salvo diritto di rivalsa, dell’imposta di registro dovuta in ordine alla sentenza, con i soli limiti stabiliti dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 215 del 2000.
4. La Curatela del fallimento, con controricorso, ha eccepito l’inammissibilità, oltre che l’infondatezza, del ricorso sia in quanto diretto al riesame degli apprezzamenti di fatto compiuti dalla Commissione Tributaria Regionale, nonostante la doppia conforme, sia per difetto di auto-sufficienza e violazione del principio di specificità dei motivi.
5. La prima censura, avente ad oggetto la notifica, non della cartella in esame, ma del prodromico avviso di liquidazione, non supera il vaglio di ammissibilità per difetto di specificità. La ricorrente ha, difatti, denunciato la violazione di legge, invocando, da un lato, l’avvenuto raggiungimento del destinatario e, dall’altro, la disciplina relativa alla notifica avvenuta tramite consegna al portiere. Tuttavia, tali accertamenti non si rinvengono nella sentenza impugnata, di guisa che la censura dedotta non si correla alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha accertato la invalidità delle operazioni Nella sentenza, difatti, si è precisato che “la documentazione prodotta in fotocopia da parte dell’Ufficio … taglia proprio l’indicazione dell’indirizzo del destinatario”.
Né può riqualificarsi la censura, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod.proc.civ., in quanto, pur non sussistendo la preclusione della doppia conforme di fronte alla pronuncia adottata all’esito dell’accoglimento dell’appello incidentale, il motivo non soddisfa il requisito della specificità previsto (a pena di inammissibilità per l’appunto) dall’art. 366 c.p.c., non avendo la ricorrente trascritto la relata delle notifiche ovvero indicato il luogo della sua produzione.
Difatti, la parte che proponga una ricostruzione della procedura notificatoria e dei suoi elementi identificativi parzialmente difforme da quanto delibato dal giudice d’appello deve, ad avviso della Corte, provvedere alla trascrizione della relata di notifica ed alla specificazione del luogo ove reperire la relata, la cui carenza priva il ricorso di autosufficienza e specificità. E’ principio consolidato della giurisprudenza di questa corte quello secondo il quale “in tema di ricorso per cassazione, ove sia denunciato il vizio di una relata di notifica, il principio di autosufficienza del ricorso esige la trascrizione integrale di quest’ultima, che, se omessa, determina l’inammissibilità del motivo” (Cass. n.1150/2019; Cass. n. 31038 del 2018; n. 5185/2017; v. anche Cass. n. 17424/2005). Va, difatti, ricordato che, nel processo tributario, in caso di impugnazione, da parte del contribuente, della cartella esattoriale per l’invalidità della notificazione dell’avviso di accertamento, la Corte di cassazione non può procedere ad un esame diretto degli atti per verificare la sussistenza di tale invalidità, trattandosi di accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito, e non di nullità del procedimento, in quanto la notificazione dell’avviso di accertamento non costituisce atto del processo tributario, ma riguarda un presupposto per l’impugnabilità davanti al giudice tributario della cartella esattoriale, potendo l’iscrizione a ruolo del tributo essere impugnata solo in caso di mancata o invalida notifica al contribuente dell’avviso di accertamento, a norma dell’abrogato art. 16, comma 3, del d.P.R. n.636 del 1972 e dell’art. 19, comma 3, del vigente d.P.R. n. 546 del 1992 (Sez. 5, sent., n. 18472 del 21/09/2016, Rv. 640973 – 01, e Sez. 5, sent., n. 11674 del 15/05/2013, Rv. 626449 – 01). Tale principio opera anche laddove, come nel caso di specie, il ricorso sia proposto dall’Amministrazione e sia diretto ad affermare la validità della notificazione, superando il contrario accertamento di fatto del giudice del merito.
6. La seconda e la terza doglianza, con cui si è lamentata l’erronea applicazione degli artt. 57 e 59 del d.P.R. n. 131 del 1986, sono infondate. Sul punto occorre premettere che, mentre l’art. 37 del P.R. n. 131 del 1986 prevede che gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all’imposta di registro anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato, il successivo art. 59 introduce alcune deroghe a siffatta regola generale della riscossione immediata e più precisamente differisce la riscossione dell’imposta di registro, stabilendo che sia prenotata a debito, con riferimento ad alcuni atti giudiziari, tra cui, alla lett. d, le sentenze e gli altri atti degli organi giurisdizionali che condannano al risarcimento del danno prodotto da fatti costituenti reato. Come ha precisato la giurisprudenza di legittimità, l’art. 59, comma 1, lett. d), del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, facendo generico riferimento, per la prenotazione a debito, alle “sentenze di condanna al risarcimento del danno prodotto da fatti costituenti reato”, non presuppone il concreto accertamento del reato, ma solo la sua astratta configurabilità, con la conseguenza che il fatto può essere apprezzato anche nell’ambito di una sentenza di condanna emessa in esito a un giudizio civile, senza che siano, in tal caso, necessarie l’imputazione in sede penale· o la contestuale trasmissione degli atti alla procura della Repubblica per l’esercizio della relativa azione (Sez. 5, sent., n. 24096 del 12/11/2014, Rv. 633408 – 01; v. anche Sez. 5, sent., n. 1296 del 22/01/2020, Rv. 656671 – 01, secondo cui, in tema di imposta di registro, l’art. 59, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 131 del 1986, riferendosi genericamente, per la prenotazione a debito, alle sentenze di condanna al risarcimento del danno derivante da fatti costituenti reato, comprende tutti quei fatti che possono “astrattamente” configurare ipotesi di reato, non richiedendosi che le sentenze siano pronunziate a seguito di un giudizio penale o che si tratti di fattispecie che abbiano dato origine in concreto ad un procedimento penale). Del resto, in questo senso si era già espressa la Corte costituzionale nella sentenza n. 414 del 1989.
L’art. 60 precisa, inoltre, che nelle sentenze e negli altri atti degli organi giurisdizionali di cui alla lettera d) dell’art. 59 deve essere indicata la parte obbligata al risarcimento del danno, nei cui confronti deve essere recuperata l’imposta prenotata a debito, così introducendo una deroga all’art. 57, primo comma, ai sensi del quale sono solidalmente obbligate al pagamento dell’imposta le parti in causa. Non sussiste, pertanto, con riferimento alle sentenze e gli altri atti degli organi giurisdizionali che condannano al risarcimento del danno prodotto da fatti costituenti reato alcuna solidarietà tra le parti, atteso che l’imposta grava esclusivamente sul danneggiante e può essere recuperata solo nei suoi confronti. Né può aderirsi alla ricostruzione dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui l’applicazione di tale disciplina competerebbe esclusivamente agli uffici giudiziari, con la conseguenza che, laddove non sia richiesta, da parte del cancelliere, la prenotazione a debito, deve procedersi alla riscossione dell’imposta di registro secondo le regole ordinarie. Difatti, sebbene l’interpretazione della sentenza possa risultare problematica, da un lato, l’applicazione della legge compete a tutti gli operatori del diritto, e, dall’altro, gli eventuali errori o omissioni di questi ultimi non possono alterarne il contenuto precettivo. Peraltro, l’Amministrazione finanziaria, nella riunione dei Capi compartimentali Tasse e Imposte sugli affari del 20/4/1983, è già giunta alla conclusione che la registrazione a debito, nella fattispecie in esame, vada effettuata anche senza la specifica richiesta del cancelliere, che non è prevista dall’art. 59.
Solo per completezza va ribadito che, in tema di registrazione a debito di una sentenza, il procedimento di riscossione dell’imposta, in quanto condizionato all’acquisizione del carattere di definitività del provvedimento giudiziario ed affidato all’iniziativa del cancelliere dell’ufficio giudiziario e non dell’Amministrazione finanziaria, è incompatibile con il vincolo temporale di decadenza di cui all’art. 76, comma 2, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sicché risulta applicabile il solo termine decennale di prescrizione previsto dall’art. 78 del medesimo d.P.R. n. 131 del 1986 (Sez. 5, sent. n. 5966 del 25/03/2015, Rv. 635005 – 01).
In definitiva, come già chiaramente evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 414 del 18 luglio 1989, il legislatore, in ragione di considerazioni etico-morali, ha ritenuto di non dover gravare il danneggiato da reato di ulteriori spese, anche tenendo conto che il recupero del credito, cui si riferisce l’imposta, è spesso aleatorio, per cui nei casi in esame gli Uffici procedono alla registrazione a debito e, in applicazione dell’art. 60 del medesimo d.P.R., effettuano il recupero dell’imposta prenotata soltanto nei confronti delle parti obbligate al risarcimento, senza che operi il principio di solidarietà di cui al precedente art. 57 dello stesso d.P.R.
7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed i ricorrenti condannati in solido al pagamento, a favore della contribuente delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo in base ai parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna in solido l’Agenzia delle Entrate e l’ADER al pagamento, a favore del Fallimento P.D.S. P.D.S. s.r.l., delle spese di questo giudizio, liquidate in euro 3.800,00, oltre 200,00 per esborsi, rimborso forfettario del 15% ed accessori come per legge.
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