Corte di Cassazione ordinanza n. 31172 depositata il 21 ottobre 2022
atti impugnabili – impugnabilità degli atti per vizi propri – ingiunzione fiscale
RILEVATO CHE:
La “I.C.S. S.r.l.” ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo il 25 gennaio 2019 n. 82/03/2019, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di ingiunzione di pagamento per l’ICI relativa agli anni 2009, 2010 e 2011, in relazione a fabbricati ubicati nel territorio comunale, ha accolto l’appello proposto dalla “So.G.E.T. S.p.A. “, nella qualità di concessionaria per la riscossione del Comune di Palena (NA), nei confronti della medesima e del Comune di Palena (NA) avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Chieti il 23 ottobre 2017 n. 500/02/2017, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure sul presupposto della regolare notifica dei prodromici avvisi di accertamento presso la sede legale della contribuente, non essendo stata impugnata l’ingiunzione di pagamento per vizi propri. Il ricorso è affidato a due motivi. La “So.G.E.T. S.p.A.” si è costituita con controricorso. Il Comune di Palena (NA) è rimasto intimato. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ..
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la notifica degli avvisi di accertamento prodromici all’ingiunzione di pagamento fosse stata regolarmente ricevuta presso la sede legale della contribuente.
2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 23, comma 1- bis, del D.L. 30 dicembre 2008 n. 207, convertito, con modificazioni, dalla Legge 27 febbraio 2009 n. 14 e 2, comma 1, lett. a, del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che i fabbricati aventi i requisiti di ruralità (in particolare, nella specie, un fabbricato classificato in categoria D/10) potessero essere soggetti ad ICI.
RITENUTO CHE:
1. Il primo motivo è infondato.
1.1 Invero, considerando il tenore complessivo della doglianza secondo la prospettazione contenuta nel ricorso per cassazione, si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 19, comma 3, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, il quale, con specifico riguardo agli atti tributari, dispone che: «Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo».
A ben vedere, la censura attinge il passaggio motivazionale della sentenza impugnata, secondo cui «(…) deve rilevarsi come gli avvisi di liquidazione emessi dalla società di riscossione siano stati preceduta ( recte: preceduti) dalla notifica degli avvisi di accertamento, che sono stati ricevuti dalla società contribuente, come risulta dagli avvisi di ricevimento depositati dall’appellante». Secondo il giudice di appello: «Sebbene la Sri Iniziatice Centro Sud sostenga di non averli mai ricevuti, la stessa non ha mai effettuato alcun disconoscimento delle firme apposte sulle cartoline di ritorno di detti avvisi, né ha allegato le ragioni del disconoscimento».
Per cui, in coerenza con tale ratio decidendi, avendo impugnato l’atto successivo dinanzi al giudice tributario, il ricorrente ha censurato la sentenza di appello per non aver ravvisato la carente notifica dei prodromici avvisi di accertamento e, di riflesso, la nullità della conseguente ingiunzione di pagamento.
1.2 Invero, per costante giurisprudenza di questa Corte, in materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Poiché tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dall’art. 19, comma 3, del D.L.vo 31 dicembre 1992 546, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa (tra le tante: Cass., Sez. SA, 18 gennaio 2018, n. 1144; Cass., Sez. 5, 5 aprile 2019, n. 9585; Cass., Sez. 5, 30 giugno 2020, n. 13106; Cass., Sez. Un., 15 aprile 2021, n. 10012; Cass., Sez. 6A-5, 25 maggio 2021, n. 14292; Cass., Sez. 6A- 5, 21 settembre 2021, n. 25535; Cass., Sez. 6A-S, 6 dicembre 2021, n. 38548).
1.3 Ciò posto, nell’affermare, in tema di riscossione dei tributi locali, la devoluzione alla giurisdizione delle commissioni tributarie della controversia concernente l’impugnazione di un’ingiunzione emessa ai sensi del D. 14 aprile 1910 n. 639, le Sezioni Unite di questa Corte hanno sancito che tale ingiunzione non è un atto dell’espropriazione forzata, ma ha la stessa funzione, di atto prodromico dell’esecuzione forzata, che svolge la cartella di pagamento, e deve, pertanto, poter essere impugnata come una cartella di pagamento, ai sensi dell’art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 (Cass., Sez. Un., 20 maggio 2005, n. 10958). Per cui, a prescindere dalla fondatezza o meno delle questioni di merito (e cioè dalla verifica della definitività o meno degli atti presupposti), la giurisdizione va assegnata alla commissione tributaria sia per il tipo di atto impugnato (ingiunzione, equiparabile alla cartella) e sia per le ragioni addotte dal contribuente nel suo ricorso (Cass., Sez. Un., 20 maggio 2005, n. 10958).
1.4 Ne consegue che, al pari della cartella, anche l’ingiunzione può essere impugnata soltanto per vizi propri e non anche per vizi attinenti al prodromico avviso di accertamento, che sia stato notificato al contribuente.
Al pari della cartella, infatti, anche l’ingiunzione postula la preesistenza dell’avviso di accertamento al fine di determinare l’an ed il quantum della pretesa fiscale. In tal senso, questa Corte ha affermato che l’ingiunzione fiscale, anche dopo l’entrata in vigore (1 gennaio 1990) del D.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43, che ha generalizzato le modalità di riscossione mediante ruolo, costituisce un atto rivolto a portare la pretesa fiscale a conoscenza del debitore ed a formare il titolo per l’eventuale esecuzione forzata (Cass., Sez. 5″, 3 febbraio 2017, n. 2912; Cass., Sez. 2″, 5 dicembre 2020, n. 24757). L’ingiunzione fiscale è espressione del potere di auto-accertamento e di autotutela della pubblica amministrazione, con natura giuridica di atto amministrativo che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, legittimando, in caso di mancato pagamento, la riscossione coattiva mediante pignoramento dei beni del debitore. Essa segue il mancato pagamento dell’avviso di accertamento e non lo sostituisce. Una volta divenuto definitivo, l’avviso di accertamento, infatti, il rapporto giuridico tributario deve considerarsi esaurito e non più contestabile, sicché la successiva ingiunzione fiscale non integra un nuovo atto impositivo, ma un atto liquidatorio (Cass., Sez. 6″-5, 24 maggio 2017, n. 13132; Cass., Sez. 5″, 18 aprile 2019, n. 10896; Cass., Sez. 6″-2, 18 giugno 2020, n. 11794; Cass., Sez. 6″-5, 16 febbraio 2021, n. 3952; Cass., Sez. 6″-5, 13 gennaio 2022, n. 884).
Per cui, il giudice di appello può ritenere inammissibile il ricorso del contribuente avverso l’ingiunzione fiscale soltanto dopo aver accertato, dandone conto in motivazione, l’effettiva conoscenza dei prodromici atti di accertamento da parte del medesimo e, quindi, la loro mancata tempestiva opposizione (Cass., Sez. 5″, 15 gennaio 2020, n. 565; Cass., Sez. 5″, 22 aprile 2022, n. 12832).
1.5 Nella specie, a ben vedere, deducendo il vizio di violazione e falsa applicazione di norma di legge (art. 360, comma 1, 3, cod. proc. civ.), la ricorrente si è limitata, però, a reiterare in sede di legittimità le doglianze già espresse in sede di merito circa la riferibilità delle firme apposte in calce agli avvisi di ricevimento delle notifiche relative agli avvisi di accertamento a <<soggetti non riconducibili» alla medesima «ed in alcun modo autorizzati al ritiro della stessa», senza contestare – nei limiti consentiti dal novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
– l’accertamento fattone al riguardo dal giudice di appello. Per cui, così come formulata, la censura si risolve nella mera sollecitazione alla rivalutazione delle risultanze probatorie e ad una rinnovazione dell’accertamento dei fatti controversi, che sono assolutamente precluse al giudice di legittimità.
1.6 Pertanto, una volta escluso che la notifica dell’avviso di accertamento era affetta da nullità o inesistenza per le ragioni dedotte dal contribuente, l’ingiunzione di pagamento era assolutamente immune da vizi riflessi.
2. Il secondo motivo è inammissibile in conseguenza del rigetto del primo motivo.
2.1 Difatti, si tratta di censura inerente al merito della pretesa tributaria (esenzione da ICI per il fabbricato rurale), che doveva essere fatta valere con l’impugnazione dei prodromici avvisi di accertamento e non può essere più dedotta con l’impugnazione della successiva ingiunzione di pagamento, presupponendosi la definitiva cristallizzazione (nell’an e nel quantum) del credito in riscossione.
Invero, è pacifico che, in tema di contenzioso tributario, posto
che, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, ognuno degli atti impugnabili può essere oggetto di gravame solo per vizi propri, salvo che non si tratti di atti presupposti non notificati, non è ammissibile l’impugnazione della cartella [come anche dell’ingiunzione] di pagamento per dolersi di vizi inerenti agli avvisi di accertamento già notificati e non opposti nei termini (tra le tante: Cass., Sez. SA, 13 ottobre 2011, n. 21082; Cass., Sez. 6A-5, 24 maggio 2017, n. 13102; Cass., Sez. 5, 23 maggio 2018, n. 12759; Cass., Sez. 5, 7 giugno 2019, n. 15452; Cass., Sez. 5, 10 febbraio 2021, n. 3227; Cass., Sez. 6A-S, 28 aprile 2021, n. 11141; Cass., Sez. SA, 8 giugno 2022, n. 18488; Cass., Sez. 5, 16 giugno 2022, n. 19507); pertanto, qualora la parte destinataria di una cartella [come anche di un’ingiunzione] di pagamento contesti esclusivamente di aver ricevuto la notificazione degli atti prodromici e l’agente per la riscossione dia prova della regolare esecuzione della stessa (secondo le forme ordinarie o con messo notificatore, ovvero mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento), resta preclusa la deduzione di censure, concernenti la pretesa tributaria, non tempestivamente opposte (da ultima: Cass., Sez. SA, 10 febbraio 2021, n. 3227).
3. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità del secondo motivo, il ricorso deve essere rigettato.
4. Quanto alle spese giudiziali:
- nei rapporti tra ricorrente e controricorrente, esse seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo;
- nei rapporti tra ricorrente ed intimato, esse non sono soggette a regolamentazione per la mancata costituzione della parte vittoriosa.
5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 2.300,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
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