CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 giugno 2019, n. 15379
Illegittimità del licenziamento – Fallimento – Insinuazione al passivo – Mancato pagamento delle retribuzioni – Onere probatorio del lavoratore di messa a disposizione delle proprie energie lavorative – Non sussiste – Natura ricognitiva della dichiarazione di nullità del licenziamento – Onere del datore di lavoro di invitare il lavoratore alla ripresa del servizio
Fatto
Con decreto 21 giugno 2016, il Tribunale di Napoli rigettava l’opposizione proposta da C.D.M., ai sensi dell’art. 98 l. fall., avverso lo stato passivo del Fallimento N.S.S. s.r.l., dal quale era stato escluso il credito insinuato in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751bis n. 1 c.c. di € 144.062,44 per mancato pagamento delle retribuzioni maturate dal 13 febbraio 2007 (data del licenziamento) al 1° aprile 2015 (data di dichiarazione di fallimento), sulla base della sentenza del Tribunale di Napoli n. 28413/2009 (in giudicato) di accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società poi fallita, con relative condanne reintegratoria e risarcitoria.
A motivo della decisione, il Tribunale escludeva la prova da parte del lavoratore, di essa onerato, dell’offerta delle proprie energie lavorative alla società datrice per esserne riassunto.
Con atto notificato il 22 luglio 2015 il lavoratore ricorreva per cassazione con unico motivo, cui resisteva con controricorso la curatela fallimentare; entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con unico motivo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 18 l. 300/1970 (nel testo ante I. 92/2012), per inesistenza di un onere probatorio del lavoratore di messa a disposizione delle proprie energie lavorative e di violazione del giudicato di reintegrazione nel posto di lavoro.
2. In via preliminare occorre affermare l’ammissibilità del motivo.
2.1. Nel caso di specie è irrilevante la mancata trascrizione del giudicato del Tribunale di Napoli n. 28413/2009.
Ed infatti, essa è necessaria, ai fini di ammissibilità del motivo con cui si denuncia la violazione dell’art. 2909 c., sia pure costituendo il giudicato la regola del caso concreto e conseguentemente una questione di diritto da accertare direttamente, allorquando essa investa la sua interpretazione, restando diversamente preclusa al giudice di legittimità ogni tipo di attività nomofilattica (Cass. 16 luglio 2014, n. 16227; Cass. 11 dicembre 2018, n. 31991).
Ma non di questo si tratta nel caso di specie, rilevando la sentenza del Tribunale di Napoli in giudicato come circostanza di fatto, incontestata tra le parti ed esterna alla questione devoluta, cui accede come elemento allegato in funzione probatoria ai fini di ammissione del lavoratore al concorso fallimentare.
3. Tanto premesso, il motivo è fondato.
3.1. Non sussiste alcuna necessità di una messa in mora da parte del lavoratore, come erroneamente ritenuto dal Tribunale (dal penultimo capoverso di pg. 3 al primo di pg. 4 del decreto), non potendo essere correttamente assimilata l’ipotesi dell’art. 18 l. 300/70 a quella di nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato, con la sua conversione a tempo indeterminato (Cass. 13 aprile 2007, n. 8903; Cass. 27 marzo 2008; Cass. 7 settembre 2012, n. 14996), per la natura ricognitiva della dichiarazione di nullità (così come della disdetta alla scadenza di un contratto di lavoro a termine illegittimamente stipulato, configurante un atto meramente ricognitivo, non una fattispecie di recesso: Cass. 20 novembre 2009, n. 23756).
3.2. Quando invece il lavoratore impugni stragiudizialmente il licenziamento illegittimo, a fronte del rifiuto datoriale di riceverne la prestazione manifestato con l’intimazione del licenziamento, egli già con tale agire compie l’offerta della sua prestazione lavorativa richiedendo il ripristino del rapporto.
3.3. Spetta piuttosto al datore di lavoro, per l’effettivo ripristino del rapporto e fermo restando il diritto al risarcimento del danno liquidato ai sensi dell’art. 18, quarto comma I. 300/1970 (nel testo anteriore alla riforma operata con l. 92/2012), l’onere di invitare il lavoratore alla ripresa del servizio (con una comunicazione, pure in forma non solenne, ma in modo concreto e specifico: Cass. 29 luglio 1998, n. 7448; Cass. 27 novembre 2013, n. 26519), con decorrenza da tale momento del termine di trenta giorni per il lavoratore medesimo di riprendere il lavoro (arg. ex: Cass. 4 giugno 2002, n. 8099; Cass. 6 giugno 2013, n. 15075).
Né rileva poi, ai fini in esame ed in riferimento al valore attribuito dal Tribunale all’aver “D.M. … prestato la propria opera in favore di altri soggetti”-, al penultimo capoverso di pg. 3 del decreto), la circostanza di una nuova occupazione del lavoratore nelle more, in quanto non significativa di una sua carenza d’interesse al ripristino dell’originario vincolo (Cass. 20 dicembre 1989, n. 5743), rilevando eventualmente sotto il profilo dell’aliunde perceptum (Cass. 17 febbraio 2010, n. 3682).
3. Dalle superiori argomentazioni discende l’accoglimento del ricorso, con la cassazione del decreto e rinvio al Tribunale di Napoli in diversa composizione che valuterà l’ammissibilità o meno del credito allo stato passivo del Fallimento N.S.S. s.r.l., in applicazione delle disposizioni in materia concorsuale alla luce del superiore principio di diritto, provvedendo anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa il decreto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Napoli in diversa composizione.
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