CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 agosto 2018, n. 20612
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Qualifica di quadro – Insuccesso del piano di sviluppo di punti vendita e ai cattivi risultati economici – Carenza di prova – Eccezione di improcedibilità – Termine breve d’impugnazione della sentenza di appello infruttuosamente spirato
Fatti di causa
1. Con sentenza depositata il 24.5.2016 la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia del Tribunale di Cosenza, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato, per giustificato motivo oggettivo, il 2.2.2012 a R. A., dipendente della società G.A.M. s.p.a. con qualifica di Quadro e mansioni di ispettore di punti vendita,
2. La Corte territoriale, circoscritti i motivi del licenziamento – sulla base della lettera inoltrata al lavoratore – all’insuccesso del piano di sviluppo di punti vendita a marchio O. e ai cattivi risultati economici riscontrati nell’anno 2011, ha rilevato la carenza di prova sia in ordine alla sussistenza del suddetto piano di sviluppo sia con riguardo alla crisi economica, a fronte della incertezza della provenienza della documentazione contabile prodotta dalla società e, in ogni caso, della sua scarsa chiarezza e laconicità nonché della tardività dell’ulteriore documentazione prodotta successivamente alla costituzione in giudizio, trovando, inoltre, conferme della mancata soppressione del posto di lavoro dell’A. nella distribuzione dei suoi compiti tra altri dipendenti.
3. La società ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria. L’A. ha depositato controricorso, eccependo la tardività del ricorso stante il decorso del termine breve.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 604 del 1966 nonché vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto violato il principio di immutabilità del motivo di licenziamento e, di conseguenza, trascurato di valutare quale concorrente ragione della soppressione del posto di lavoro la diminuzione dei punti vendita a marchio Oviesse.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 416, comma 3, cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.) avendo, la Corte, trascurato che la società aveva dedotto, nella memoria di costituzione (riportata per estratto), la sussistenza della crisi aziendale e della chiusura del punto vendita di Rende, circostanza non contestata, nel primo momento utile, da parte del lavoratore. Inoltre, la documentazione prodotta contestualmente alla memoria e concernente la crisi economica sofferta dalla società non era stata contestata dal lavoratore, quella prodotta in corso di causa (lettere di licenziamento ad altri dipendenti e conto economico O. relativo al quinquennio 2009-2013) era stata contestata dal lavoratore esclusivamente con riguardo al punto vendita di Bovalino, e, per contro, la società aveva contestato specificamente le circostanze del ricorso circa l’adibizione del lavoratore ai punti vendita a marchio P. I., O., Y. R., circostanze rimaste sfornite di prova.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto che la redistribuzione della mansioni conferma la ingiustificatezza del licenziamento.
4. L’eccezione di improcedibilità sollevata dal controricorrente è fondata.
La notificazione della sentenza di appello effettuata dal controricorrente alla controparte, avvenuta a mezzo PEC il 14.6.2016 ai sensi dell’art. 3 bis della L. n. 53 del 1994 e successive modifiche, è corretta. Pertanto, il termine breve d’impugnazione deve ritenersi infruttuosamente spirato, avendo la società provveduto a notificare il ricorso per cassazione ben oltre il termine previsto dall’art. 325, comma 2, cod.proc.civ. (in specie, in data 24.11.2016).
Invero, la notificazione de qua è stata effettuata dall’attuale controricorrente A. con invio del messaggio di PEC all’indirizzo del difensore della parte datoriale ed indicazione – in oggetto – della dicitura “notificazione ai sensi della Legge n. 53 del 1994”, con la specificazione che si provvedeva ad allegare, segnatamente, il duplicato informatico della sentenza nonché l’originale informatico della relata di notificazione.
La notificazione risulta rispettosa di tutte le prescrizioni legislative in quanto: il duplicato informatico della sentenza di appello, provvista di firma del giudice in formato pades (ossia un file con estensione pdf), non richiede alcuna asseverazione di conformità (a differenza delle copie informatiche), secondo quanto disposto sia dall’art. 23, comma 1, del D.Lgs. n. 82 del 2005 sia dall’art. 16-bis comma 9-bis del D.L. 179 del 2012 (convertito dalla L. n. 221 del 2012), che ne sancisce l’equivalenza, ad ogni effetto di legge, al documento originale da cui è tratto il duplicato; il difensore del controricorrente ha allegato la relata di notifica, con atto nativo digitale debitamente sottoscritto dal medesimo in formato cades (ossia un file con estensione p7m); il medesimo difensore ha, altresì, indicato, nel corpo della PEC, di procedere alla notificazione del duplicato informatico della sentenza e dell’originale della relata di notifica.
La parte ha, inoltre, assolto l’onere di produzione e deposito delle copie analogiche del messaggio PEC in esame, delle ricevute di accettazione e consegna, della sentenza notificata e della relata di notifica, unite al controricorso in uno con la pedissequa attestazione di conformità, regolarmente firmata.
Non osta, infine, al perfezionamento della notificazione – contrariamente a quanto argomentato da parte ricorrente – la circostanza che nella relata di notifica la controparte non abbia indicato il numero della sentenza né la data di pubblicazione del provvedimento, essendo sufficiente indicare l’organo giudiziario che ha emesso la sentenza e il numero di ruolo generale del procedimento (come previsto dall’art. 3-bis della L. n. 53 del 1994).
Sul punto, va ribadito il dictum delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, con sentenza n. 7655 del 2016 hanno esteso alla fattispecie delle notifiche a mezzo PEC “il principio, sancito in via generale dall’art. 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato“.Per la Corte, il raggiungimento dello scopo, con specifico riferimento alle notifiche via pec, esplica i propri effetti sananti ogniqualvolta venga conseguito “Il risultato dell’effettiva conoscenza dell’atto che consegue alla consegna telematica dello stesso nel luogo virtuale, ovverosia l’indirizzo di pec”. E ciò in quanto “la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l’interesse all’astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione”.
Ne consegue la sanabilità ogniqualvolta la parte verso cui è diretta la notifica lamenti una mera irregolarità formale senza, tuttavia, prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per te decisione finale.
7. In conclusione, il ricorso va dichiarato le spese di lite del presente giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
8. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
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