CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 giugno 2019, n. 15512
Lavoro – Interpretazione del contratto collettivo per il personale non dirigenziale del comparto sanità – Periodo di conservazione del posto di lavoro – Calcolo
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Venezia ha accolto parzialmente l’appello proposto da G. B. avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza che aveva rigettato le domande proposte nei confronti della ULSS 4 Alto Vicentino, poi incorporata dall’Azienda ULSS 7 Pedemontana, volte ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato il 5 ottobre 2007 per superamento del periodo di comporto e la conseguente condanna dell’azienda resistente alla riassunzione o, in mancanza, al risarcimento del danno ex art. 8 della legge n. 604/1966.
2. Il Tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando che l’atto di impugnazione stragiudiziale era stato sottoscritto dal solo difensore e che la procura allo stesso conferita era stata portata a conoscenza del datore solo dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 6 della legge n. 604/1966.
3. La Corte territoriale ha ritenuto fondata l’impugnazione e, richiamata giurisprudenza di questa Corte, ha evidenziato che l’anteriorità della procura, che può essere dimostrata con ogni mezzo, deve essere documentata al datore solo qualora quest’ultimo ne faccia richiesta prima della scadenza del termine e, comunque, prima che il lavoratore agisca in giudizio. Nel caso di specie l’azienda non aveva mai sollevato obiezioni sulla validità dell’impugnazione stragiudiziale ed aveva partecipato al tentativo di conciliazione senza eccepire nulla al riguardo.
4. Nel merito la Corte, dopo avere escluso che la malattia fosse ascrivibile a colpa del datore di lavoro, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti richiesti dal combinato disposto degli artt. 23 e 24 del C.C.N.L. 1.9.1995 per il personale del comparto sanità, perché il periodo di diciotto mesi doveva essere continuativo ed invece risultava dalla documentazione prodotta che lo stesso era stato interrotto con la ripresa del servizio dal 9 agosto al 13 ottobre 2005.
5. Il giudice d’appello ha aggiunto che la ricorrente non era mai stata dichiarata permanentemente inidonea ad ogni proficuo lavoro, sicché l’azienda non poteva invocare la disposizione contrattuale posta a fondamento del recesso, dovendo, invece, assegnare la B. a mansioni compatibili con il suo stato di salute.
6. Sulla base di dette argomentazioni la Corte territoriale ha annullato il licenziamento ed ha riconosciuto all’appellante la tutela prevista dalla legge n. 604/1966, invocata in primo grado. Ha rilevato al riguardo che solo in appello la ricorrente aveva inammissibilmente modificato le conclusioni e chiesto la reintegrazione in servizio ed il risarcimento del danno ex art. 18 della legge n. 300/1970.
7. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G. B. sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, ai quali l’Azienda ULSS 7 Pedemontana ha resistito con controricorso. L’Azienda ha proposto ricorso incidentale, affidato ad un’unica censura, alla quale G. B. ha a sua volta replicato con controricorso.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo del ricorso principale, rubricato “sull’applicabilità alla fattispecie del disposto della legge 604/1966: violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro», G. B. sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere inapplicabile l’art. 6 della richiamata legge n. 604/1966. Richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto è nullo, non semplicemente annullabile, sicché valgono i principi generali in tema di azione di nullità e pertanto l’impugnazione non è soggetta al termine di decadenza.
1.2. La seconda censura, riprendendo gli argomenti spesi nel primo motivo, addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto che la tutela applicabile fosse quella prevista dall’art. 8 della legge n. 604/1966. Sostiene la ricorrente che la nullità può e deve essere rilevata d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, non poteva il giudice d’appello ritenere inammissibili le diverse conclusioni proposte con l’atto di gravame, volte ad ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato e la condanna dell’azienda al pagamento delle retribuzioni maturate medio tempore.
1.3. Con il terzo motivo la B. ribadisce che il licenziamento doveva essere ritenuto affetto da nullità, perché intimato prima della maturazione del periodo di comporto e sottolinea al riguardo che il C.C.N.L. richiede 36 mesi continuativi, condizione, questa, non sussistente nella fattispecie in quanto si era verificata una ripresa dell’attività lavorativa a partire dal 13 ottobre 2005.
1.4. Infine con la quarta critica la ricorrente principale sostiene che costituisce semplice emendatio libelli la modifica che riguardi il petitum o la causa petendi, qualora la stessa sia connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e non determini la compromissione del diritto di difesa della controparte. Non poteva, pertanto, la Corte territoriale ritenere inammissibile la domanda di tutela reale, proposta solo in grado di appello.
2. Il ricorso incidentale denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la “violazione e falsa applicazione di norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro comparto sanità artt. 23 e 24 CCNL 1/9/1995». L’Azienda rileva, in sintesi, che l’art. 24, nel rinviare all’art. 23 per le modalità di calcolo del periodo di comporto, non richiede che nel primo dei due archi temporali, ciascuno di 18 mesi, l’assenza sia continuativa e, pertanto, nella specie il calcolo era stato correttamente effettuato, perché nel triennio antecedente l’ultimo episodio morboso, che aveva interessato il periodo 17/31 marzo 2006, la B. aveva accumulato assenze per più di 18 mesi. Gli ulteriori 18 mesi dovevano essere calcolati a partire dal 16 marzo 2006 e, quindi, erano egualmente spirati alla data di intimazione del recesso. Nessun rilievo, poi, poteva essere attribuito all’avvenuto accertamento dell’idoneità al lavoro perché l’inidoneità non deve concorrere con il superamento del comporto in quanto costituisce un motivo alternativo di risoluzione del rapporto.
3. Ragioni di priorità logica e giuridica impongono di esaminare innanzitutto il ricorso incidentale, del quale anche l’Azienda ha sollecitato l’esame in via prioritaria, facendo leva, a pag. 10 del controricorso e nelle conclusioni, sul carattere assorbente delle questioni poste in relazione alla legittimità del licenziamento ed all’interpretazione delle disposizioni contrattuali. Il contenuto dell’atto processuale, privo di equivocità, induce ad escludere che con lo stesso la parte abbia manifestato la volontà di condizionare la propria impugnazione all’accoglimento del ricorso principale, sicché si deve ritenere frutto di errore materiale la qualificazione che compare nell’intestazione del controricorso.
3.1. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione incidentale. Il motivo, correttamente formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., addebita alla Corte territoriale di avere “travisato la portata normativa degli artt. 23 e 24 del CCNL comparto sanità 1.9.1995», applicando “atomisticamente i singoli commi anziché sistematicamente le norme deducibili dai due articoli». La ricorrente incidentale, nel rilevare l’erroneità dell’interpretazione delle disposizioni contrattuali, sollecita questa Corte ad esercitare la funzione “paranomofilattica» nell’interpretazione delle norme di contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, che il legislatore le ha attribuito, per l’impiego pubblico contrattualizzato con l’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 e per i contratti collettivi di diritto comune con il d.lgs. n. 40/2006, elevando le norme contrattuali collettive di livello nazionale ” a parametro del sindacato di legittimità della pronuncia ricorribile per cassazione, pur trattandosi di norme espresse dall’autonomia contrattuale collettiva, che in realtà non si inseriscono nel sistema delle fonti del diritto» (Cass. S.U. n. 20075/2010).
Del tutto impropri sono, pertanto, i richiami, contenuti nel controricorso della B., ai limiti del sindacato di legittimità in relazione al vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., perché la ricorrente incidentale, nel censurare la pronuncia di “annullamento” del licenziamento, deduce l’erroneità, non del giudizio di fatto espresso dalla Corte territoriale sulla maturazione del comporto, in relazione al numero ed alla durata delle assenze, bensì dell’esegesi delle norme contrattuali, che il giudice d’appello ha posto a fondamento della pronuncia nel momento in cui ha desunto l’illegittimità del recesso dalla mancanza di continuità delle assenze e dalla sussistenza dell’idoneità allo svolgimento di attività lavorativa, sia pure in mansioni meno gravose rispetto a quelle in precedenza assegnate.
3.2. Il ricorso incidentale è fondato.
L’art. 24 del CCNL 1.9.1995 per il personale non dirigenziale del comparto sanità, dispone che “in caso di assenza dovuta ad infortunio sul lavoro o a malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio, il dipendente ha diritto alla conservazione del posto fino a completa guarigione clinica e, comunque, non oltre il periodo di conservazione del posto. In tale periodo al dipendente spetta l’intera retribuzione di cui all’art. 23, comma 6, lett. a), comprensiva del trattamento accessorio come determinato nella tabella n. 1 allegata al presente contratto. 2. Decorso il periodo massimo di conservazione del posto, trova applicazione l’art. 23, comma 3. Nel caso che l’azienda o ente non proceda alla risoluzione del rapporto di lavoro del dipendente riconosciuto permanentemente inidoneo a proficuo lavoro, per l’ulteriore periodo di assenza non compete alcuna retribuzione.».
L’art. 23 dello stesso CCNL, alla quale la disposizione rinvia, a sua volta prevede, nel testo modificato dall’art. 5 del CCNL integrativo del 22.5.1997, per quel che qui rileva, che “1. Il dipendente non in prova, assente per malattia, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano tutte le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l’ultimo episodio morboso in corso. 2. Al lavoratore che ne faccia tempestiva richiesta prima del superamento del periodo previsto dal comma 1, può essere concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi ovvero di essere sottoposto all’accertamento delle sue condizioni di salute, per il tramite della azienda sanitaria locale territorialmente competente ai sensi delle vigenti disposizioni, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di assoluta e permanente inidoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro. 3. Superati i periodi di conservazione del posto previsti dai commi 1 e 2, ovvero qualora non sia stato possibile applicare l’art. 16 del D.P.R. 28 novembre 1990, n. 384 perché il dipendente, a seguito degli accertamenti sanitari, è stato dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l’azienda o l’ente può procedere, alla risoluzione del rapporto corrispondendo al dipendente l’indennità sostitutiva del preavviso.».
3.3. Poiché le clausole contrattuali si interpretano le une per mezzo delle altre, risulta evidente che le parti collettive, nel riconoscere, al comma 1 dell’art. 24, il diritto del dipendente alla conservazione del posto di lavoro ” fino a completa guarigione clinica e, comunque, non oltre il periodo di conservazione del posto», hanno inteso richiamare, quanto alla durata ed alle modalità di calcolo del periodo stesso, l’art. 23 del contratto, che al comma 1 è assolutamente chiaro nel prevedere un comporto per sommatoria, ai fini del quale rilevano ” tutte le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l’ultimo episodio morboso in corso», anche se discontinue. Nella tabella 2 allegata al contratto (assenze per malattia – casi pratici) si ribadisce che “per stabilire se e quando sarà superato il cosiddetto “periodo di comporto” è necessario: sommare le assenze intervenute nei tre anni precedenti la nuova malattia; sommare a tali assenze quelle dell’ultimo episodio morboso», e si esclude, in tal modo, che la ripresa dell’attività lavorativa possa privare di rilevanza, ai fini della maturazione del periodo, le assenze pregresse, comunque apprezzabili, se verificatesi nel triennio antecedente.
Ha, pertanto, errato la Corte territoriale nel ritenere che non potesse essere spirato il primo periodo di diciotto mesi perché lo stesso aveva subito interruzioni a
seguito della ripresa del servizio da parte della B. dal 9 agosto al 13 ottobre 2005. Si tratta di una circostanza priva della decisività alla stessa attribuita dal giudice d’appello, il quale, errando nell’interpretazione della disciplina contrattuale e ritenendo che il periodo dovesse essere necessariamente continuativo, ha omesso di verificare se nel triennio antecedente l’ultimo episodio morboso, il limite dei 18 mesi fosse stato superato “per sommatoria», ossia secondo il criterio di calcolo stabilito dalle parti collettive, anche per mezzo degli esempi pratici di cui alla richiamata tabella 2.
3.4. Parimenti errata è la sentenza impugnata nella parte in cui sostiene che la ASL appellata non poteva recedere dal rapporto ai sensi dell’art. 24 del CCNL, perché la B. non era mai stata dichiarata permanentemente inidonea ad ogni proficuo lavoro.
Si è già evidenziato che la disposizione contrattuale fa derivare dal superamento del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro l’applicabilità dell’art. 23, comma 3, del CCNL che nella sua versione originaria prevedeva che “Superati i periodi di conservazione del posto previsti dai commi 1 e 2, qualora non sia stato possibile applicare l’art. 16 del D.P.R. 28 novembre 1990, n. 384 perché il dipendente, a seguito degli accertamenti sanitari, è stato dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l’azienda o l’ente può procedere, alla risoluzione del rapporto corrispondendo al dipendente l’indennità sostitutiva del preavviso».
Con l’art. 5 del CCNL integrativo del 22.5.1997 le parti collettive hanno modificato la clausola, stabilendo che “all’art. 23, comma 3 del contratto (Assenze per malattia), dopo le parole “previsti dai commi 1 e 2” è inserita la parola “ovvero”» e precisando anche, all’art. 18, che “Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 14 del presente contratto, per la loro natura interpretativa e chiarificatrice delle clausole cui rispettivamente si riferiscono, hanno decorrenza dalla data di entrata in vigore del CCNL stipulato il Io settembre 1995.».
Attraverso l’inserimento nella clausola contrattuale della congiunzione disgiuntiva “ovvero» le parti stipulanti hanno eliminato ogni profilo di equivocità del testo originario, chiarendo che l’art. 23, comma 6, prevede e disciplina due distinte causali di recesso, ossia, da un lato, il superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro, dall’altro l’inidoneità permanente del dipendente a svolgere qualsiasi proficuo lavoro. Ciò in linea con l’orientamento, già all’epoca consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui sussiste un’ontologica diversità fra licenziamento per superamento del periodo di comporto ex art. 2110 cod. civ. e licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica (cfr. Cass. n. 2590/1989, Cass. n. 3517/1992, Cass. n. 4507/1992, Cass. n. 3040/1996 e fra le più recenti Cass. n. 1404/2012 e Cass. n. 18411/2016).
L’art. 23, comma 6, del CCNL 1995, al quale rinvia l’art. 24, comma 2, dello stesso CCNL, legittima, quindi, il recesso in entrambe le distinte fattispecie sopra richiamate e stabilisce che mentre nel primo caso è sufficiente il superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro, come disciplinato dai commi 1 e 2, nella seconda ipotesi il licenziamento potrà essere validamente intimato solo qualora non sia stato possibile adibire il dipendente ad altre mansioni, nel rispetto delle condizioni e della procedura previste dall’art. 16 del d.P.R. n. 384/1990 ( Cass. n. 18411/2016 che in tal senso ha interpretato la clausola contrattuale che qui viene in rilievo).
E’ pacifico che nella fattispecie l’Azienda ha esercitato il recesso alla maturazione del periodo di comporto, sicché irrilevante, rispetto alla causale del licenziamento, è l’accertamento sulla idoneità della dipendente a svolgere le mansioni proprie dell’ausiliaria, con esclusione di quelle comportanti il sollevamento di pesi superiori a 10 kg. o la protratta postura fissa.
3.5. In via conclusiva, in accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame, attenendosi al principio di diritto di seguito enunciato: “l’art. 24 del CCNL 1.9.1995 per il personale non dirigenziale del comparto sanità si interpreta nel senso che, in caso di assenza per infortuni sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio, il periodo di conservazione del posto di lavoro è quello stesso previsto, per sommatoria, dai commi 1 e 2 dell’art. 23 in relazione alle assenze per malattia e va calcolato con le medesime modalità stabilite dalla disposizione contrattuale alla quale l’art. 24 rinvia. Il comma 6 dell’art. 23, applicabile ex art. 24 comma 2 una volta decorso il periodo massimo di conservazione del posto di lavoro, disciplina due distinte causali di recesso e, pertanto, non richiede, in caso di maturazione del comporto, che il dipendente sia anche inidoneo ad ogni proficuo lavoro, perché il licenziamento riconducibile alla previsione dell’art. 2110 cod. civ. va tenuto distinto da quello per sopravvenuta inidoneità fisica».
4. L’accoglimento del ricorso incidentale travolge la dichiarata illegittimità del licenziamento e, pertanto, assorbe tutte le questioni, prospettate dalla ricorrente principale, che presuppongono l’accertamento della violazione della disciplina contrattuale e dell’illegittimo esercizio del potere di recesso.
5. Non sussistono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. n. 228/2012, perché nessuna delle due impugnazioni è stata ritenuta inammissibile o infondata.
Alla Corte territoriale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso incidentale e assorbe il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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