CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 19553 depositata il 10 luglio 2023
Lavoro – Licenziamento disciplinare – Assenza ingiustificata – Mancata ripresa del servizio entro il termine fissato – Assistenza a familiare portatore di handicap – Congedo straordinario biennale di cui all’art. 42 del D.Lgs. n. 151/2001 – Mancanza del possesso dei requisiti richiesti per la fruizione del congedo – Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Ancona ha respinto l’appello di R.G. avverso la sentenza del Tribunale di Macerata che aveva rigettato il ricorso, proposto nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Ufficio Scolastico Regionale per le Marche, dell’Istituto Comprensivo “G.L.” di Potenza Picena e dell’Istituto di Istruzione Superiore “L.V.” di Civitanova Marche, volto ad ottenere l’annullamento:
a) del licenziamento disciplinare con preavviso intimato il 5 giugno 2019 in relazione al rapporto a tempo determinato intercorrente con l’Istituto Comprensivo di Potenza Picena;
b) del licenziamento disciplinare senza preavviso del 26 giugno 2019;
c) del decreto del 17 giugno 2019 con il quale il Dirigente Scolastico del medesimo Istituto Comprensivo aveva dichiarato la G. decaduta dall’impiego ex art. 511 del d.lgs. n. 297/1994.
La ricorrente, sulla premessa dell’illegittimità degli atti adottati dall’amministrazione scolastica, aveva domandato la reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato nonché la condanna del MIUR al risarcimento del danno, pari alle retribuzioni maturate dalla data di cessazione della funzionalità del rapporto.
2. La Corte distrettuale ha premesso che il primo licenziamento era stato intimato ai sensi dell’art. 55 quater, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 165 del 2001 perché la G., dopo un periodo di assenza ingiustificata, aveva omesso di riprendere servizio nel termine fissato con diffida del Dirigente scolastico. Ha ritenuto i fatti provati nella loro materialità e non espressamente contestati, ed ha evidenziato che la mancata ripresa del servizio non era dipesa dalla necessità di assistere la madre malata, perché risultava dagli atti che la dipendente si era recata presso la segreteria di altro istituto scolastico per integrare la documentazione, dalla quale, a suo dire, emergeva il diritto a fruire del congedo straordinario biennale previsto dall’art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001. Quel diritto, invece, era stato contestato dall’amministrazione in quanto il familiare al quale l’assistenza doveva essere prestata, a partire dall’anno 2016, non versava più nella condizione di handicap grave, riconosciuta nell’anno 2008.
3. In diritto il giudice d’appello ha rilevato che la fattispecie tipizzata dall’art. 55 quater, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 165/2001, nella parte in cui fa riferimento alla «mancata ripresa dei servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione», integra una forma di insubordinazione che il legislatore ha ritenuto di particolare gravità, perché il potere di diffidare il dipendente è chiaramente finalizzato a contrastare l’assenteismo, sicuro fattore di inefficienza dei pubblici servizi. Ne ha desunto che l’unica scriminante al comportamento del dipendente, che protragga l’assenza nonostante la diffida, è costituita dall’impedimento assoluto a presentarsi sul luogo di lavoro, sicché non rilevano disagi o mere difficoltà né il comportamento può essere giustificato dalla convinzione soggettiva del dipendente in merito alla spettanza del diritto al congedo.
4. La Corte distrettuale ha ritenuto, pertanto, gravemente leso il vincolo fiduciario, anche in ragione del notevole disservizio e pregiudizio economico che l’assenza prolungata determina in danno dell’amministrazione. Dall’accertamento della legittimità del primo licenziamento ha tratto la conseguenza che non fosse necessario valutare gli ulteriori atti adottati dall’amministrazione, in quanto incidenti su un rapporto già risolto.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso R.G. sulla base di due motivi, ai quali hanno opposto difese con controricorso il MIUR, l’Ufficio Scolastico Regionale ed entrambi gli istituti scolastici.
6. L’Ufficio del Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte ed ha chiesto il rigetto del ricorso.
7. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e, richiamate le circostanze dedotte nella diffusa esposizione dei fatti di causa, addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che alla diffida aveva replicato il legale al quale ella si era rivolta. In particolare, era stata contestata l’asserita ingiustificatezza dell’assenza ed era stato rappresentato, da un lato, che la sola presentazione della domanda di congedo legittima il dipendente ad assentarsi, dall’altro che l’amministrazione nulla aveva comunicato quanto alla completezza della documentazione depositata.
La G. assume che non può essere impedito al dipendente di «contestare il presupposto di un ordine perentorio che non lascia al lavoratore la capacità di preordinarsi in un qualsiasi modo» ed aggiunge che, in ogni caso, la richiesta di integrazione della documentazione, pervenuta dopo la diffida, l’aveva indotta a ritenere che «si sarebbe proceduto con l’accoglimento della sua domanda di congedo con soluzione della questione».
2. La seconda censura addebita alla sentenza impugnata la «violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c. nonché dei principi generali in tema di tutela dei lavoratori e dell’art. 55 quater del d.lgs. n. 165/2001». Richiamata giurisprudenza di questa Corte, la ricorrente sostiene che il giudizio di proporzionalità deve essere espresso anche qualora la sanzione espulsiva sia prevista dal legislatore, tenendo conto di tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi del caso concreto. Ribadisce che occorreva considerare le ragioni per le quali la ripresa del servizio non era avvenuta ed insiste anche nel sostenere che l’assenza non poteva essere ritenuta ingiustificata in quanto sussistevano tutti i presupposti per fruire del congedo straordinario.
3. I motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, presentano profili di inammissibilità, nella parte in cui, al di là della formulazione delle rubriche, sollecitano una rivalutazione delle risultanze istruttorie, e sono per il resto infondati.
3.1. L’art. 55 quater del d.lgs. n. 165 del 2001 tipizza, alla lettera b), due distinte fattispecie di illecito, che consentono entrambe l’irrogazione del licenziamento, e prevede, da un lato, l’«assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni», dall’altro la «mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione».
Alla diffida, che si risolve in una messa in mora del dipendente inadempiente rispetto all’obbligo di rendere la prestazione, il datore di lavoro pubblico può fare ricorso, non solo nell’ipotesi in cui i termini indicati nella prima parte della disposizione non siano ancora decorsi, ma anche qualora l’assenza si sia già protratta per un periodo superiore a quello previsto dal legislatore e le particolarità del caso rendano opportuno, prima di avviare l’iniziativa disciplinare, la previa reazione finalizzata ad interrompere l’inadempimento, come accade nelle ipotesi in cui l’ingiustificatezza dell’assenza dipenda da irregolarità formali della documentazione trasmessa.
Nell’uno e nell’altro caso il dipendente potrà sottrarsi all’obbligo di riprendere servizio o dimostrando l’assoluta impossibilità di adempiere alla diffida nel termine imposto, oppure fornendo la prova dell’insussistenza dell’inadempimento, ossia, in positivo, delle condizioni, giuridiche e fattuali, che legittimano il lavoratore ad assentarsi dal servizio.
3.2. Nessun error in iudicando, pertanto, può essere addebitato alla Corte territoriale la quale, dopo avere correttamente interpretato l’art. 55 quater, lett. b), del richiamato d.lgs. n. 165/2001, con accertamento di fatto non censurabile nel giudizio di legittimità, da un lato ha escluso che la necessità di assistenza alla madre malata rendesse inesigibile la prestazione ed impedisse alla G. di recarsi al lavoro nel giorno fissato dall’amministrazione; dall’altro ha rilevato che non sussistevano le condizioni richieste per la fruizione del congedo straordinario biennale, perché il familiare sin dall’anno 2016, a seguito di revoca del riconoscimento in precedenza concesso, aveva perso lo status di portatore di handicap grave.
3.3. Quest’ultima circostanza, valorizzata dalla sentenza impugnata, è assorbente rispetto a tutte le considerazioni svolte nel ricorso, che, lo si ripete, in più punti realizza un’inammissibile commistione di argomenti di fatto e di diritto.
L’art. 33 della legge n. 104/1992 e l’art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001 sono chiari nel richiedere che il soggetto da assistere sia affetto da «disabilità in situazione di gravità, accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992 n. 104» sicché qualora, come nella fattispecie, l’accertamento amministrativo venga revocato il dipendente, pubblico e privato, non può fare leva sul riconoscimento originario, ormai superato, perché sia i permessi che il congedo presuppongono l’attualità dell’esigenza di assistenza, che deve essere certificata dagli organi amministrativi a ciò deputati.
Ove questi ultimi abbiano escluso, sia pure in sede di revisione, l’asserita gravità dell’handicap, il dipendente, che illegittimamente abbia preteso di fruire di quei diritti, non può opporre al datore, per giustificare il suo comportamento, il soggettivo convincimento dell’erroneità della valutazione espressa in sede amministrativa, che non scrimina la condotta di rilievo disciplinare, connotata di particolare gravità qualora, come nel caso che ci occupa, all’indebita fruizione si accompagni anche la comunicazione di dati non rispondenti al vero rispetto alla situazione esistente al momento della dichiarazione.
3.4. Non sussiste, pertanto, il denunciato vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, ravvisato in relazione alla mancata valorizzazione della missiva inviata dal legale al quale la G. si era rivolta una volta ricevuta la diffida, atteso che, anche a voler tenere in disparte l’ontologica diversità fra omesso esame del fatto e omesso esame di una risultanza istruttoria, difetta la decisività del fatto medesimo, una volta escluso, sulla base delle considerazioni sopra esposte, che la ricorrente si trovasse nelle condizioni richieste dalle disposizioni normative invocate.
3.5. Parimenti insussistente è l’error in iudicando denunciato nel secondo motivo, perché la Corte territoriale non ha in alcun modo violato il divieto di automatismi espulsivi né ha fondato la decisione sul solo dato oggettivo della mancata ripresa del servizio, bensì, come evidenziato nello storico di lite, ha apprezzato il comportamento tenuto dalla G., anche negli aspetti soggettivi, ed è pervenuta a ritenere gravemente leso il vincolo fiduciario in ragione del mancato possesso dei requisiti richiesti per la fruizione del congedo, del contegno di «assoluta indifferenza al monito della datrice», del notevole disservizio e del pregiudizio, anche economico, cagionato all’amministrazione statale.
3.6. Quanto, poi, alla doglianza contenuta a pag. 26 del ricorso, punto XLIII, ne va rilevata l’inammissibilità perché la ricorrente, pur censurando (apoditticamente) il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto assorbente rispetto ad ogni altra statuizione l’accertata legittimità della prima sanzione espulsiva, sufficiente a determinare la risoluzione del rapporto, non individua l’error in procedendo o in iudicando nel quale, così ragionando, la Corte territoriale sarebbe incorsa, né specifica le ragioni per le quali permaneva comunque l’interesse alla valutazione delle censure mosse al provvedimento di decadenza ex art. 511 del d.lgs. n. 297 del 1994 adottato il 17 giugno 2019 e dell’ulteriore sanzione del licenziamento disciplinare inflitta con atto del 26 giugno 2019.
4. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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